La scuola di danza di mia figlia si trova in una palazzina di 3 piani sul Po.
Ci sono 5 sale prove frequentate soprattutto da fanciulle dai 3 ai 16 anni, oltre al pilates per gli adulti. Circa 5 lezioni al giorno per sala con una media di 10/15 allievi : fate voi il conto.
Questa scuola è rimasta aperta durante l’emergenza coronavirus, perché dai chiarimenti regionali sulle misure viene specificato che non è da escludere “l’ordinario svolgimento della pratica di corsi sportivi”, con il solo limite di utilizzo di spogliatoi e docce (!!!).
Per la stessa ragione possono rimanere aperte le palestre, con le decine di persone che sudano, si scambiano attrezzi e tappetini e che saranno ancora più affollate visto che molta gente non lavora.
“Oggi che fai? Che vuoi che faccia: Esselunga e palestra. E poi Spritz a casa della Lore, ma solo in 4 o 5 che c’è il coronavirus”.
Ora ditemi che senso ha una prevenzione così? Significativo è il titolo di un articolo de La Stampa di qualche giorno fa: “come districarsi nella rete dei divieti”.
Se sono necessarie misure drastiche a scapito di economia (turismo e finanza) e di molti diritti fondamentali (istruzione, giustizia, religione), allora che ci sia una linea chiara.
Soprattutto bisognerebbe evitare soluzioni di impeto fatte di slogan e senza una visione di insieme (come i recenti provvedimenti “spazzacorrotti”, “carcere agli evasori”, porti chiusi, trasparenza… che tentavano e tentano di affrontare in modo troppo parziale problemi altrettanto reali).
Serve chiarezza – per quanto possibile – e responsabilizzazione delle persone, dei media, della magistratura e delle istituzioni. E servirebbe anche una scala di valori nelle scelte e nelle decisioni di chi governa (un’idea di bene comune, mi ricordava giustamente un’amica) che sembra impossibile in questa caccia agli untori e alle responsabilità sempre altrui.
Sirenetta