4 Luglio 2012 (seconda puntata)

Ma se questo bosone di Higgs, che sarà pure un tassello fondamentale del Modello Standard, ha la stessa natura di tante altre particelle elementari già scoperte, perché è stato soprannominato “particella di Dio”?
Teorizzato nel 1964, a causa della grande difficoltà incontrata dagli scienziati ad individuarlo, questo bosone si meritò l’appellativo di “particella maledetta” (Goddamn particle), ma per una censura editoriale, il primo articolo del 1993 si intitolò “The God Particle: If the Universe Is the Answer, What Is the Question?”.
La traduzione in italiano ha fatto il resto ed ora ci ritroviamo con i giornali che parlano di “particella di Dio”.
Ma la colpa non è certo solo dei giornali. Mi ha colpito che Margherita Hack, nota astrofisica che ha appena raggiunto la soglia dei 90 anni, il giorno della conferenza stampa al CERN ha rilasciato un’intervista telefonica a Repubblica nella quale ha affermato che “se la materia è tutto ciò che esiste e se il bosone di Higgs è quello che spiega come le particelle acquistano massa, allora vuol dire che il Bosone di Higgs è Dio”. A parte l’illogicità di tale dimostrazione (che nega l’esistenza di tutto ciò che differenzia l’uomo dal resto della realtà di cui prende coscienza), è bastata la semplice domanda della giornalista, che le fa notare come l’esistenza della particella un attimo dopo il Big Bang non intacca il problema di chi abbia creato quell’energia iniziale, per far diventare il tutto una pura questione dialettica, in cui definisco “Dio” ciò che comprendo e rinuncio al piano dell’oggettivo e dell’universalmente riconoscibile.
La ricerca scientifica dell’uomo consiste nel progredire costantemente nella conoscenza del mondo che lo circonda e ha il suo motore primo nell’intrinseca curiosità dell’uomo e nella sua irriducibile domanda di senso. Ma più l’uomo cerca di conoscere più scopre che, di vetta in vetta, si aprono orizzonti prima impensati, e si accorge che ciò che desidera conoscere veramente su di sé e sulla realtà è al di là della natura stessa e non può essere contenuto dalle categorie della pura conoscenza scientifica.
“Chi non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato” diceva Einstein, perché una ragione autentica deve ammettere l’esistenza di un mistero che permea tutta la realtà.
Sotto la vastità di un cielo stellato, davanti alle cime innevate delle Dolomiti o al profondo blu del mare delle Tremiti emerge in ognuno lo stupore perché le cose ci sono; davanti ad una realtà che affascina l’uomo e lo sovrasta in ogni direzione, essendo un po’ leali, vengono fuori le domande profonde di senso: che posto ho nell’Universo? Che senso ha tutto? Chi ha fatto tutta la realtà e Chi mi sta facendo ora? Tutto quello che ho davanti e che sono io finirà nel nulla? Io e tutto ciò a cui sono affezionato può essere spiegato con il nulla?

Mantenere intatte le domande di senso che sorgono nell’impatto con la realtà, senza ridurle o snaturarle pretendendo di chiuderle con ciò che si comprende, è caratteristico del genio dell’umano. Ma per noi poveracci che ci accontenteremmo di risposte parziali che non soddisfano pur di chiudere le domande aperte, trovare altri uomini che condividono le stesse domande e che riescono a non ridurre la profondità dei propri interrogativi, vuol dire imbattersi in qualcosa di sovrumano, si riconosce la mano del divino che esalta la statura dell’uomo e si apre una strada per conoscere ed amare di più se stessi e il mondo che ci circonda.

Tursiope