Addio o… a Dio?

Cari amici della Spigola,

sicuramente in questi giorni avrete sentito parlare della morte del grande fisico Stephen Hawking. Quando andavo a scuola (fine anni 80… sigh!) ero rimasto molto colpito dalla sua vicenda umana e professionale: umana per la malattia che lo immobilizzava sempre più sulla sedia a rotelle, professionale perché era l’uomo che poteva riunire le più importanti teorie della fisica (relatività, elettromagnetismo, interazioni nucleari, gravitazionale e credo altro ma non sono un fisico) in un’unica teoria, la teoria unificata del campo. Anche Einstein stava studiando qualcosa di simile al termine della sua vita ma trovava ostacoli matematici.

Il sogno di molti ricercatori, soprattutto fisici, è spiegare il “pensiero di Dio” attraverso una legge. Credo che sia un giusto desiderio: trovare la logica che sta alla base di qualsiasi trasformazione fisica. A valle di questo desiderio ognuno costruisce come può, con i mezzi che ha, un ponte che lega il suo tentativo al traguardo ultimo: ciò caratterizza l’uomo vero.

Nel 2010 è uscito un libro “The grand design”, in cui sostiene che “l’universo può essersi creato da sé, può essersi creato dal niente” e dunque “non è stato Dio a crearlo”. In questo libro Hawking ipotizza che la teoria unificata del campo non esiste, che il coinvolgimento di Dio nella creazione non è necessario e che il Big Bang è conseguenza delle sole leggi della fisica. Alle critiche rispondeva che “Non si può provare che Dio non esista, ma la scienza rende Dio non necessario”. In un’intervista a Channel 4 contenuta nel documentario “Genius of Britain” ha chiarito di non credere in un Dio “personale”. In un brano del libro dice: “Poiché c’è una legge come la gravità, l’universo può e potrà crearsi dal nulla. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece che il nulla, motivo per cui l’universo esiste, per cui noi esistiamo. Non è necessario invocare Dio per far partire l’universo”.

Einstein diceva che “l’uomo che non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato” (evidentemente sono punti di vista diversi).

Non so voi ma io mi sento piccolissimo di fronte a uomini di questa portata intellettuale, sinceramente mi sento meno che analfabeta, io che non ricordo come si risolve una banale equazione differenziale.

Li guardo con sincera ammirazione perché entrambi hanno costruito diversi archi di quel ponte che connette l’intera umanità al significato ultimo dell’esistenza.

Qui però bisogna tirare una bella linea, così:


Perché?

Il motivo è un fatto successo in quello spazio/tempo che entrambi, sia Einstein che Hawking, hanno studiato.

A prescindere dalle idee personali, è successo che in un paese della Galilea ai tempi di Cesare Augusto una vergine ha dato alla luce un bimbo, è storicamente provato, abbiamo i testi scritti dai testimoni.

Questi testi dicono che questo bambino ha vissuto 30 anni in famiglia, il padre era un falegname di cui il 19 marzo abbiamo festeggiato la solennità, e per i successivi 3 anni ha fatto un po’ di rumore tra gli ebrei delle sue terre.

Quegli ebrei lo hanno condannato a morte per crocifissione e dopo 3 giorni è resuscitato da morte per essere sempre presente nel mondo e dire attraverso i suoi amici, che nel frattempo hanno dilatato la Sua Presenza in tutto il mondo che: “quel ponte sono io e sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.

Hawking non credeva in un Dio “personale”: ecco, è umanamente impensabile (anzi quanto più un uomo è intelligente, tanto più intuisce che è assurdo solo pensarlo) pensare che Dio si possa incontrare per strada, forse non lo ha incontrato in modo adeguato e questo mi dispiace molto. L’incontro con Cristo regala la letizia, lui era una persona ironica: l’ironia è caratteristica dell’intelligenza, la letizia è caratteristica divina.

Per questo motivo preferisco Leopardi perché è stato un po’ più audace di entrambi:

Se dell’eterne idee
L’una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s’altra terra ne’ superni giri
Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi. 

E ora usciamo… a riveder le stelle!

Tonno subito