Alcune considerazioni sul ddl (ex) Cirinnà

Con l’odierno voto di fiducia si è concluso (non senza forzature procedurali…) l’iter della legge al Senato, per poi passare alla Camera. Il testo è stato modificato positivamente rispetto a quanto proposto in aula a gennaio soprattutto in due punti: l’eliminazione dell’art. 5 sulle adozioni e la modifica di parte del 3, togliendo alcuni espliciti riferimenti all’istituto del matrimonio, ma lasciandone altri; le modifiche sono certamente migliorative e frutto – più che di una mediazione politica – della mobilitazione popolare e del Family day, capace di condizionare il dibattito pubblico pur in presenza di un martellamento senza contraddittorio del “pensiero unico” progressista, come hanno fatto notare il senatore Quagliariello ed E. Galli della Loggia. Insomma: scendere in piazza con un obiettivo chiaro e buono serve molto – oltre che per chi lo fa – anche per orientare le scelte pubbliche; purtroppo non è sufficiente.

E non si può perciò cantare vittoria: anche se un risultato positivo è stato ottenuto, resta in ogni caso l’impostazione inaccettabile di un testo che equipara irragionevolmente situazioni diverse ed appiattisce realtà sociali irriducibili (soprattutto per l’impossibilità procreativa) e certifica l’idea pericolosa per cui la sorgente dei diritti – e perciò del diritto – sia il desiderio individuale e che le aspirazioni singolari e i sentimenti debbano trovare a tutti i costi, anche in assenza di finalità pubbliche generali attestate e corrispondenti doveri, un loro riconoscimento giuridico.

In più con qualche paradossale aporia, che segna la contraddittorietà del provvedimento: su tutti il pasticcio costoso della reversibilità delle pensioni. Rimangono poi in piedi tutti i dubbi di costituzionalità per contrasto con l’art. 29, sollevati recentemente – fra gli altri – dallo stesso Presidente Mattarella.

Si tratta, poi, di un ennesimo svilimento dell’istituto famigliare che costituisce da sempre, ed ancora oggi, il cardine dell’ordine giuridico e la possibilità di uno sviluppo armonico della libertà; in tal senso i dati sulla crisi demografica stanno ad indicare ciò che servirebbe in Italia: un vero “family act” e la connessa valorizzazione della libertà di educazione.

Dal punto di vista politico, l’esito della vicenda del ddl segna una battuta d’arresto dello strapotere renziano, ma anche la difficoltà ad incidere di molti politici cattolici; da questo punto di vista il movimento spontaneo e diffuso del Family day rappresenta una novità molto rilevante, che attende di essere adeguatamente compresa, fino alla ricerca di una sua adeguata rappresentanza ed interlocuzione politica: sarà in grado questa energia di mutare, nel tempo, un assetto che sembra immodificabile?

Resta perciò aperta la responsabilità di costruire una novità dentro la modernità, a partire dalla verità dell’uomo e dall’educazione della sua libertà anche attraverso la promozione di comunità ‘intermedie’ e corpi sociali plurali. In questo senso anche il ruolo della Chiesa è fondamentale: essa ha ricordato la verità sulla vita e sulla convivenza umana, espressa magistralmente nel documento di Giovanni Paolo II del 2003, e sulla quale non ha cambiato idea. Lo dimostrano i frequenti interventi di papa Francesco, come la recente dichiarazione comune con il patriarca Kyril. Essa ha poi spronato i laici alla battaglia, a cominciare da quella sacrosanta del 2007 sui “Dico”, che ha tenuto lontana per 10 anni la legislazione dal nucleo della famiglia, permettendo il sorgere di una maggior consapevolezza della sfida culturale in atto. Soprattutto, al di là di qualche cedimento culturale o errore di strategia, continua a sostenere di fronte a tutti la speranza di tutti gli uomini, ricordando loro il senso della vita e la strada per viverlo.

Pescecapo