An unexpected journey

Lo Hobbit narra le vicende di un’allegra compagnia di nani che per riconquistare Herebor, la città fortezza dalla bellezza leggendaria, ingaggia Bilbo Baggins, uno hobbit che, come tutti gli hobbit, vive la sua vita tranquilla, nella sua casa bella e ordinata, fumando la pipa e scaldandosi al caldo del bel focolare.
Bilbo Baggins vive in una splendida casa dove il motivo ricorrente sono i cerchi; porte, finestre, tutto ha la forma di un cerchio; lo sport preferito di Bilbo è quello di fare cerchi con il fumo della pipa. Ad interrompere questa tranquillità è Gandalf, un personaggio tutto spigoli: cappello a punta, barba irsuta, bastone appuntito. Così il “buongiorno” piuttosto formale di Bilbo dà lo spunto a Gandalf per una raffica di domande (“Che vuoi dire? Mi auguri un buon giorno o vuoi dire che è un giorno buono che mi piaccia o no? O che ti senti buono quest’oggi; o che è un giorno in cui si deve essere buoni?”). Gandalf ricorda a Bilbo che anche lui è fatto per una grande avventura, cosa che lo stesso Bilbo stenta a credere di se stesso. E Bilbo, di fronte alla provocazione di Gandalf, dice: no, no, no!. Si difende. La paura del cambiamento ci porta a difenderci dalla provocazione della realtà. Ma Gandalf è certo di ciò che dice e, per facilitare la decisione di Bilbo, lo immette in una compagnia. Sono i nani che irrompono a casa di Bilbo. Si tratta di gente piuttosto rozza, non proprio raffinata, ma semplice. I compagni di avventura non sono i soldati migliori (quelli che noi sceglieremmo), ma coloro che – chiamati – rispondono liberamente. Questa strana compagnia sembra dapprima portare un grande disordine: la cena consumata a casa di Bilbo è un tripudio di canti, rutti e piatti che volano. Alla fine però, con grande stupore di Bilbo, tutto viene pulito e ordinato. Ma di fronte al rifiuto ostinato di Bilbo di accettare di far parte della missione, i nani non possono che implorare e domandare, con un canto struggente, che segnerà la capitolazione di Bilbo. Lasciarsi travolgere dalla compagnia che ci provoca, introduce un principio di ordine altrimenti impensabile, oltre che una leggerezza affascinante. Così le cose che prima per Bilbo erano priorità (la casa in ordine, la cassapanca della mamma) vengono ridimensionate; e ciò che prima non era neanche preso in considerazione (“Le avventure fan fare tardi a cena”, aveva detto Bilbo a Gandalf) diventa fattore mobilitante: alla fine Bilbo parte lasciando tutto.
Noi non siamo fatti per stare abbastanza bene, in una casa comoda, senza troppi imprevisti: siamo fatti per essere totalmente compiuti, ovvero per la felicità. La realtà per essere trasfigurata, cambiata, ha bisogno di noi, della nostra libertà: i nani hanno bisogno di uno hobbit per portare a termine la loro missione; ma il loro bisogno è l’occasione per Bilbo di scoprire anche la sua missione su questa terra.
Ciò che persuade, ovvero induce un cambiamento, non è uno sforzo volontaristico o l’adesione formale a delle regole: è solo la nostalgia destata da una bellezza che ci muove, ossia un amore. Così la nostalgia della serata vissuta con quella strana compagnia persuade Bilbo a partire.
Se rivediamo il film alla luce di tali considerazioni probabilmente lo gusteremo molto più di prima. Ma nella vita non si può riavvolgere il nastro per rivedere le cose e così gustarle meglio.

Rombo