Beethoven, Concerto per violino e orchestra in Re maggiore, Op. 61

Il concerto per violino e orchestra in re maggiore, composto da Beethoven in poche settimane, tra l’estate e l’autunno del 1806, non ebbe inizialmente grande successo. (…)
L’op. 61 di Beethoven si presenta come un tragitto realizzato in tre movimenti, ognuno dei quali sintetizza una tappa dell’ideale e progressiva “conversione” che avviene all’interno di questo determinante rapporto “solista-gruppo”. Se nel primo movimento (Allegro, ma non troppo) il violino si pone in contraddizione all’insieme, quasi a voler affermare violentemente la propria singolarità, fino allo sfinimento delle proprie energie, fino all’accettazione definitiva di un ideale abbraccio, nel secondo movimento (Larghetto) viene descritta la serenità pacificante di questo armonico legame, un riconoscimento che permette la gioia esaltante della festa descritta nel movimento finale (Rondò, Allegro).

Nella sonata Kreutzer violino e pianoforte serrano drammaticamente il loro dialogo, raggiungendo sonorità di potenza quasi orchestrale.
Essi, dopo un’introduzione lenta e solenne, si lanciano in un vorticoso inseguimento, che non sembra mai trovare fine. La quiete tanto attesa si afferma nel II movimento. Il tema, la cui solare dolcezza ritornerà nella scena al ruscello della sinfonia Pastorale, viene variamente rielaborato dai due strumenti che si alternano al canto e all’accompagnamento. Il terzo movimento riprende l’andamento impetuoso dell’inizio, ma nei toni gioiosi che avevano caratterizzato l’adagio centrale.

Come diceva Don Giussani: «Dal peccato originale in poi gli sforzi dell’uomo per rendersi autonomo come cultura e come dinamica di amore si sono solo moltiplicati e nel concerto che ci apprestiamo a conoscere esprime esattamente questo, con quel tema che percorre tutto il pezzo: la vita dell’uomo, della società, è segnata dalla melodia dell’orchestra dalla quale per tre volte il violino fugge per affermare se stesso e dalla quale per tre volte viene ripreso fino a riposare in pace. Quando è ripreso e continuamente riaccolto nella grande armonia dell’orchestra il violino ritrova la pace, ritrova se stesso e la forza di rigenerarsi ancora. Riconosce la sua dimora. La dimora dell’io».

La Spigola