Canna.bis, Canna.ter, …quater

Canna.bis, Canna.ter, ...quater
Foto di Aphiwat chuangchoem from Pexels

Con puntuale scadenza, ritmata da chissà quali cervellotici meccanismi, senza voler fare funamboliche dietrologie sociali, antropologiche, politiche, torna alla ribalta una vexata quaestio, alquanto trita e ritrita: la legalizzazione-depenalizzazione dell’uso della Cannabis e forse anche della sua coltivazione domestica, accanto al prezzemolo e al basilico (augurando la non confusione del loro uso). Le ragioni dei proponenti o comunque simpatizzanti sono sempre quelle: il suo modico uso non procura alcun danno, l’uso libero e consentito, a disposizione in pubblici esercizi, con prezzi calmierati (come monopoli di Stato), con distribuzione in modiche quantità in un certo arco temporale crediamo certificato, mette fuorigioco la clandestinità, il male affare che ne avrebbe, in clima di illegalità e penalizzazione, il monopolio a tutto vantaggio di cartelli, clan, pusher e fauna similare. Scontro tra proibizionisti e antiproibizionisti: l’eterno conflitto dietro il quale si nasconde un bel pò di roba, che mettere a tema richiederebbe molto spazio. 

Fermo restando che depenalizzare non vuol dire legalizzare (ma lasciamo ad altri la dottrina giuridico-amministrativo-penale), rimane la perplessità sull’opportunità o meno di procedere ad una revisione della materia in oggetto, in base al sacrosanto principio se è fatta salva o meno la libertà personale, se la comunità civile ne tragga vantaggi o svantaggi (e in quale misura gli uni superino gli altri), se sia da considerare o meno diritto civile l’uso personale e libero di certe sostanze, se la salute pubblica ne subisca dei danni nell’eventualità della liberalizzazione del prodotto, e infine se ai conti pubblici dello Stato ne viene un aggravio di spesa per eventuale cure sanitarie conseguenti ad uso smodato e incontrollato. Insomma, tutta una serie di interrogativi che chi governa deve tener presenti. 

Ma accanto, e forse non in posizione defilata, c’è la questione esistenziale, antropologica, educativa, sociale, relazionale; qui il discorso si sposta su un piano più inclinato. Alcool, fumo, droghe e quant’altro (o tutto insieme, il che è un sublime gioco di fuochi pirotecnici: si dice ‘un mix di sostanze’) vengono generalmente ritenuti non proprio consigliabili, da tutti i punti di vista; si potrebbe fare una classifica in termini di nocività e quant’altro. Le nostre società da secoli accettano, con pensosa liberalità, l’uso di queste sostanze; su di essa si giocano evidentemente anche interessi economici, ma nessuno dubita che superati certi limiti e a certe condizioni segnano punti negativi. Ma i confini sono molto labili. C’è in fondo in gioco la libertà personale, che entra in relazione con la libertà dell’altro, del gruppo al quale appartengo, della comunità civile, dello Stato: quali sono i suoi confini? Un’altra parolina fa da sponda: la responsabilità, cioè rendere conto all’altro di ogni mia scelta personale. Qui casca l’asino. Dove sono i progetti educativi per affinare le scelte della persona, specie di quelli in età evolutiva? La società è capace di esprimere procedure e meccanismi autoregolatori per arginare derive sia illiberali/coercitive sia lassiste/liberiste?

 

Moscardino