CASO FORMIGONI / MAUGERI: CONSIDERANDO CHE L’AMORE NON HA PREZZO…

La Cassazione pronuncia la sentenza definitiva sul caso Formigoni / Maugeri, confermando la grave condanna per corruzione già pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano.
Lasciando i profili giuridici all’esame delle motivazioni spese in sentenza, tentiamo, a caldo, di addentrarci un poco nel significato metagiuridico – e in senso lato politico – della condanna.
La corruzione, in questo caso, è il reato commesso dal “pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità”; l’essenza del delitto risiede nel baratto, nel do ut des: come ha spiegato la Procura, da parte di Formigoni c’è stato un “sistematico asservimento della funzione pubblica agli interessi della Maugeri, un baratto della funzione”.

I termini del do ut des, però, sono evanescenti fino all’inquietante.

Il “do” (ossia il beneficio ricevuto da Formigoni)

Appurato che dalle mani di Formigoni non è transitato neanche un Euro (e così sconfessata definitivamente la posizione di quanti si limitano a inveire “Formigoni è un ladro”), ci si è concentrati sul concetto di “altra utilità”; utilità quantificata in alcuni milioni: l’intero valore delle diverse imbarcazioni su cui il Nostro è stato di volta in volta ospitato, l’asserito sconto nell’acquisto di una villa e un preteso contributo elettorale in realtà mai versato da Daccò.

Il “des” (ossia la funzione pubblica barattata)

La funzione pubblica barattata da Formigoni consisterebbe nell’erogazione di fondi stanziati da Regione Lombardia in base alla legge che ha istituito le funzioni non tariffabili, un metodo innovativo utilizzato per prima da Regione Lombardia (e copiato in seguito da tutte le regioni italiane) per migliorare la qualità delle prestazioni degli ospedali a favore dei malati. Solo il 15 per cento di questo denaro è stato destinato agli ospedali privati (non solo alla Maugeri e al San Raffaele) ed è stato utilizzato, questo è verificato fino all’ultimo centesimo, per le cure dei malati. Le delibere di Giunta “incriminate”, poi, sono state atti collegiali controfirmati dall’assessore competente, approvati dall’avvocatura della Regione, votati all’unanimità dalla Giunta e in seguito giudicati perfettamente legittimi da TAR, Corte dei Conti regionale e Consiglio di Stato.

L’“ut” (ossia l’illecito collegamento fra funzione pubblica e benefici)

Ed eccoci al cuore del delitto, allo scambio senza il quale di corruzione non potrebbe neanche parlarsi.

L’ha colto bene la difesa del prof. Coppi: “Nessuno è riuscito a dimostrare la riconducibilità di un singolo atto di ufficio alle utilità contestate”; “nessuno sa cosa sia stato chiesto esattamente a Formigoni, per quale cosa sia stata corrisposta una certa utilità”.
Questo è precisamente l’anello mancante: l’anello che, dalle chiacchiere da bar alle più alte (ahinoi) magistrature, resta irrimediabilmente oggetto di supposizione. “Si sa”, dicono un po’ dappertutto; “era sistematico”, sostiene più forbitamente la Procura. Ma il diritto penale, con le sue categorie rigide e i suoi ancoraggi costituzionali, dovrebbe costituire esattamente la garanzia che nessuno possa essere condannato per qualcosa che “si sa”, o che si ritiene “sistematico”, ma unicamente in forza di fatti storici precisi e inoppugnabili, rigorosamente provati secondo la legge; e la stessa Cassazione (in quanto giudice centralizzato di ultima istanza) ha la funzione di presidiare il sistema contro questi cortocircuiti sempre possibili.

Ma allora come è possibile che, dopo tre gradi di giudizio, questo cortocircuito possa ancora avvenire?
La risposta che qui si ipotizza è come detto metagiuridica e risiede almeno in parte nella peculiarità dei due termini del presunto scambio.

Da una parte, un signore facoltoso che usa i propri denari per far godere vacanze (molto) lussuose ai propri (molti) amici, anche decisamente meno facoltosi di lui. Fatto sicuramente fuori dal comune, che non rientra nella normalità delle dinamiche interpersonali; fatto che in una società dominata da una mentalità individualista e utilitarista non può non sollevare qualche sospetto; nei nuovi moralisti, una certa riprovazione; comunque, nei più, molta invidia: un mix perfetto per una banale gogna mediatica. Ma il peggio ha ancora da venire.

Dall’altra parte, un politico di estrazione esplicitamente (anzi, fieramente) cattolica il quale, anziché occuparsi del proprio orticello, prende le redini della regione più ricca d’Italia e, inanellando una serie di schiaccianti vittorie elettorali, dimostra nei fatti, nei numeri, che la sussidiarietà non è appena un’etichetta utile per accattivarsi l’Europa, ma un metodo capace di costruire più bene comune; e che “più società meno stato” non è uno slogan velleitario, ma un criterio con cui far sviluppare le forze del territorio, mettendo le istituzioni al loro servizio; e che il privato non è “il male”, e anzi può concorrere efficacemente al bene pubblico, e può perfino aiutare lo Stato a fare meglio. Un politico, insomma, che per la prima volta mette sul serio lo statalismo sotto scacco, che viene imitato in tutt’Italia e oltre e, soprattutto, che fa tutto questo non per brama di potere o denaro, ma proclamando cristianamente che ama il suo compito perché la politica è la più alta forma di carità.
Ecco, se la generosità di un ricco poteva ancora essere ricondotta, con il sospetto, a categorie puramente mondane, questo fenomeno imprevedibile, che peraltro non è un exploit solitario, ma coinvolge una squadra di governo, e prima ancora un popolo intero, non è spiegabile con categorie puramente materialiste e quindi non può esserci; e, se c’è, non deve esserci. Va eliminato, perché intollerabile è l’affronto allo Stato. L’impegno del suo leader deve essere, in fondo, riconducibile a un utilitarismo che sia esclusivamente personale.

Che dietro una vacanza pagata a un amico possa (e volutamente mi arresto alla categoria della possibilità, non potendo vedere nei cuori, come altri pretendono fare) esserci davvero una sincera amicizia, o anche soltanto che i rapporti umani possano essere più profondi e complessi di come traspaiono dalle ricevute fiscali, non viene neppure sospettato; e infatti che Daccò organizzasse queste vacanze dal 1980 non è stato preso in considerazione.

Che un impegno politico di valore scaturisca veramente dalla passione e dalla carità di un popolo (popolo che peraltro rivendica un orizzonte più alto dello Stato) è un pensiero che addirittura non deve affiorare; e quindi bisogna trovare un prezzo che “si sa” essere stato pagato. E allo Stato, leso nella sua maestà, spetta esigerlo indietro con gli interessi; e così a Formigoni viene sequestrata – in barba ai limiti legali – l’intera pensione.
Come ha chiarito lo stesso Formigoni in un’intervista: “Hanno voluto processare e condannare il metodo di governo che Regione Lombardia ha utilizzato in questi vent’anni, fondato sulla sussidiarietà, sulla valorizzazione delle persone, delle famiglie e del lavoro, un metodo che […] stava per arrivare alla guida dell’Italia. Hanno deciso di fermarlo con la forza”.

Ma la vita, la storia che ha sorretto questo impegno e questa amicizia non è stata sconfitta. E il popolo degli amici di Formigoni, ben considerando che l’amore non ha prezzo, lo sta ripagando insieme a lui: per citare ancora Jovanotti, offrendo tutto l’amore che ha.

Squalo martello

12 Risposte a “CASO FORMIGONI / MAUGERI: CONSIDERANDO CHE L’AMORE NON HA PREZZO…”

  1. Condivido l’articolo e la possibilità di un attacco a Formigoni e di CL.
    Mi chiedo però se a qualcuno di voi sia mai capitato di fare una vacanza su uno yacht perchè aveva un amico facoltoso che “voleva usare i propri denari per far godere vacanze (molto) lussuose ai propri (molti) amici, anche decisamente meno facoltosi di lui” (detto che sicuramente il Nostro era più facoltoso di molti dei partecipanti a questo blog, me compreso), oppure a chi sia mai capitato di ricevere una casa in Sardegna per lo steso motivo.

    Sicuramente Formigoni ha fatto funzionare la sanità lombarda e sicuramente ha governato la regione più ricca (e potente) d’Italia in maniera grandiosa. Mi chiedo però se non poteva proprio evitare di andare sugli yacht della gente a cui la regione dava i finanziamenti, sia che fossero suoi amici o nemici…

    1. So che sono capitate altre forme di solidarieta tra miei amici. Lo so per certo. E quindi ?

    2. perchè avrebbe dovuto evitare di utilizzare beni su invito? e come mai il corrispettivo è pari a 6 milioni e mezzo di euro? Anche se affitto per 20 giorni un bello yacht o uso una casa come faccio ad arrivare ad una tale cifra? inoltre nei sequestri di patrimonio non si sequestra 1/5 della pensione o dello stipendio?

    3. E’ un’obiezione facile, e infatti nell’articolo do atto che il fatto è “sicuramente fuori dal comune, che non rientra nella normalità delle dinamiche interpersonali; fatto che in una società dominata da una mentalità individualista e utilitarista non può non sollevare qualche sospetto”.
      Il problema è che dai sospetti al carcere la legge segna una strada ben precisa, e che in questo caso qualche passaggio è stato se non sommario, molto probabilmente “forzato” dalla vigente mentalità moralista-utilitarista-individualista. Tutto qui.

      Squalo Martello

  2. i magistrati, Cassazione in particolare, non sono gli “statali” con carrirere automatiche fino al top (con gli stipendi piu’ alti) e sempre “intoccabili”? forse mi aiuta a capire l’invidia (anche senza sapere niente di ville e vacanze “loro”) mzio

  3. A me sì. E io sono un signor nessuno. E quando mia figlia si è ammalata amici di amici che io non avevo mai visto ci hanno prestato una spettacolare casa a Santa Margherita per fare le vacanze. Un altro ci ha pagato un’intero week end di vacanza a Marsiglia. Molti altri hanno offerto tempo, disponibilità, soldi e cene. Quindi sì, ci sono persone che danno gratis, per amicizia. E’ questo il caso di Formigoni? Non lo so, ma il fatto che si sia gretti, meschini e invidiosi (e non mi riferisco all’autore del commento a cui sto rispondendo, sia chiaro) non significa che tutti debbano essere così. E forse è proprio questo che non si tollera, che Formigoni invece non era un signor nessuno… quindi non poteva avere amici e godere della loro generosità (che se non sbaglio continua a non essere un crimine)

  4. Con tutto il bene che vi voglio e che ci vogliamo, tutto l’articolo cade sulla premessa “lasciando i profili giuridici all’esame delle motivazioni spese in sentenza…addentriamoci nei significato metagiuridico e in senso lato politico della condanna”. L’articolo non entra nel merito (i profili …) e poi però sviluppa tutta una difesa – peraltro con giudizi e considerazione tutte giuste giustissime ma NON vere! Può sembrare paradossale…ma se consideriamo o presupponiamo come scontati i “profili” (i motivi di legge per cui i giudici hanno pensato che in quei fatti si potessero ravvisare i termini di una corruzione) come facciamo poi a volgere la nostra attenzione ai “significati metagiuridici e politici” ? È come a scuola “io non so se tu hai copiato il tema, non sono certo che sia stato tutto farina del tuo sacco”, però “bravo per questo che hai scritto oppure per quello che hai osservato…”. Mi spiace per me non funziona così. E giuro che mi piacerebbe esser convinto del contrario. Io vedo e leggo una valanga di amici che si esprimono a difesa…ma io sento che non va, è commovente tutto questo! Forse lo fanno perché vorrebbero che quello che è successo non fosse mai successo. Ma non si tratta di una difesa credibile. C’è qui un fatto inoppugnabile: qui c’è una sentenza che come tale ha appurato un fatto e dopo 3 gradi di giudizio…e noi ci siam sempre detti che un fatto non si toglie! La realtà è testarda! Sul piano del perdono ciò che è stato fatto è come non sia mai stato fatto…ma la giustizia umana pur relativa è comunque un dato del reale. Se togliamo i fatti che parliamo a fare? Siamo come quelli che plaudono ad Umberto anche quando diceva delle fregnacce solo perché era un bravo narratore: «Non esistono fatti, solo interpretazioni». NO. Perciò la mia percezione è che ci arrampichiano sugli specchi! Ma poi… un comune mortale -anche istruito e informato-deve o meglio può mai entrare nel merito delle motivazioni di una sentenza definitiva? Con tutta l’apertura di cuore e di giudizio e consci della complessità del contesto storico-politico della lotta furibonda per il potere che c’è stata ( e c’è)l e al centro della quale si è trovato Formigoni, non potete non riconoscere che qualcosa non quafradra. Non possiamo semplicisticamente (a meno che non mentiamo almeno un po’ a noi stessi) considerare figli della cultura del sospetto o del dubbio i molti, tra cui me, che pure è profondamente addolorato al pensiero di Roberto chiuso in una cella del carcere di Bollate ( gli ho mandato a dire che “io mi sento in galera con te!”). Insomma non è giusto considerare schierati con i giudici o faziosi o ingenui coloro che rispettano la sentenza. Se su questo processo non facciamo valere il buon senso di chi riconosce che è stato comunque seguito l’accertamento dei fatti -per quanto poi la verità totale e metagiuridica sia un’altra cosa- allora dobbiamo mettere il dubbio su tutto e concludere che nessuna sentenza è vera.
    Con amicizia
    pippo emmolo

    1. …si può condividere o meno le scelte politiche come quelle giudiziarie. sono solo due poteri dello stato, in questo periodo non di rado in lotta tra loro.

      ci sono persone che lavorano bene e male in ciascuno dei due poteri.

      La lettura del fatto accertato perché passa tre gradi è una semplificazione, come sa bene chiunque lavori nel settore. leggendo le sentenze mi faccio un’idea di quanto sia un fatto corruttivo quello in oggetto. il fatto è la galera, e su questo concordo, sancita da un potere dello stato

    2. Caro Pippo,
      l’obiezione è molto acuta, ma in fondo fallace.
      Per essere chiari, smontiamo, pezzo a pezzo, l’equazione che, semplificando, è sottesa alla Tua idea: sentenza(definitiva)=fatti(inoppugnabili)=realtà(incontrovertibile)=verità(indiscutibile)=tutto il resto sono solo interpretazioni (generose, magari), che non hanno lo stesso valore conoscitivo della decisione giudiziale.

      1. Il processo serve certamente ad accertare i fatti con una certa attendibilità, ma già a questo livello la conoscenza della realtà sottostante soffre una notevole approssimazione (tipico esempio: le trascrizioni di intercettazioni e deposizioni che, non potendo riportare tratti comunicativi decisivi, come il tono di voce o la gestualità, si prestano a ricostruzioni inesatte, se non capziose; la sentenza Formigoni di primo grado ne è piena).
      2. Nell’universo dei fatti processualmente accertati, la sentenza opera una forte scrematura, inevitabilmente funzionale alla tesi (difensiva o accusatoria) cui aderisce.
      3. Soprattutto, il diritto non è una scienza esatta e molti presunti “fatti” a ben vedere altro non sono che interpretazioni (tecnicamente “qualificazioni” o “sussunzioni”), che possono dirsi vere o false soltanto in quanto più o meno rispondenti al contesto storico e al quadro giuridico di riferimento.

      Per concretizzare (semplificando, ovviamente):
      1. l’unico “fatto inoppugnabile” è che Formigoni abbia ricevuto qualche utilità (vacanze), la cui quantificazione monetaria è già molto discutibile;
      2. la sua illecita influenza sulle delibere di giunta (unanimi e perfettamente legittime) è, come fatto giuridico, molto opinabile;
      3. infine, che le utilità abbiano costituito il prezzo di un baratto per quell’influenza sulle delibere non è un fatto, ma un’interpretazione pura.

      È chiaro che il giudice è chiamato a esprimersi a tutti e tre i livelli (fatti puri, fatti opinabili, interpretazioni), altrimenti non giudicherebbe. È vero anche che gli strumenti del diritto (processuale e sostanziale) tendono conferire ai suoi giudizi elevata attendibilità.

      Ma occorre tenere a mente che i tribunali non sono santuari ove i fatti e le interpretazioni giuridiche, al riparo dalle passioni politiche e dalle ideologie, assumono carattere assoluto e incontrovertibile (la stessa definitività delle sentenze è più un compromesso pratico che una garanzia di perfezione della giustizia).
      Una simile illusione, mettendo sul piedistallo i “motivi di legge per cui i giudici hanno pensato che in quei fatti si potessero ravvisare i termini di una corruzione”, conferisce al processo una funzione catartica e al giudice un ruolo sacerdotale (di inquietante matrice tangentopoliana), che infatti sta al cuore del Tuo commento: “un comune mortale -anche istruito e informato-deve o meglio può mai entrare nel merito delle motivazioni di una sentenza definitiva?” Sì, un comune mortale ha anzi il dovere di entrare nel merito, giuridico ma anche, appunto, metagiuridico. Questo è il motivo per cui le sentenze sono pubbliche e motivate.

      Tornando al nostro caso, è ben possibile dire, ed è un’idea diffusa fra amici e nemici, che la condanna di Formigoni – e la sua carcerazione – per corruzione rappresenti un giudizio, per quanto giuridicamente argomentabile, che “non quadra” (il giudizio, non i fatti), che non rende giustizia, per l’appunto, alla storia di buon governo della Lombardia: summum ius, summa iniuria.

      Tanto chiarito, concordo che ci si debba confrontare, umilmente e seriamente, con le ragioni di stretto diritto spese dai magistrati (cosa che io ho iniziato a fare); su questo raccomando di seguire, anche nei prossimi giorni, tempi.it.

      Grazie per l’amicizia, che ricambio.

      Squalo Martello

  5. Sono pienamente d’accordo. Io non mi addentro nelle motivazioni che hanno portato alla condanna: non ho la precisa conoscenza dei fatti (siamo certi però che tutti quelli che criticano la sentenza ce l’abbiano?) ne’ la competenza in materia giuridica che mi consenta di criticare, pertanto mi attengo a quanto è stato deciso.
    Altra cosa è poi la pena che provo per Formigoni, di cui ho apprezzato le indubbie capacità politiche, perché non si può gioire per la sua carcerazione, ma non mi piace vivere di complottismo e penso che la politica non possa essere questione di tifo.

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