CERCHIAMO UNO SCOPO, NON LO CREIAMO

Mark Zuckerberg, Fondatore e attuale CEO di Facebook, ha ricevuto la laurea ad honorem ad Harvard, dopo aver abbandonato gli studi per sviluppare il suo progetto imprenditoriale, ricevendo altresì l’onere/onore di tenere il discorso ai laureandi.
Discorso appassionato e convincente, come potete vedere e sentire – e leggere in traduzione – nel link alla fine dell’articolo, che si snoda tra aneddoti amarcord e storie di incontri personali affettivamente importanti, e ci sarebbero tanti spunti interessanti su cui soffermarsi.
Tuttavia quello su cui mi sembra insistere di più è la necessità per i giovani di oggi di avere uno scopo – giusto mi dico, ma anche gli adulti ne hanno bisogno – e di come si fa ad avere uno scopo, visto il cambiamento dei tempi.
È un punto che mi ha colpito come indicazione, ma stranito nello sviluppo sino alla frase che mi sembra la più esplicativa dell’idea veicolata dal discorso nel suo insieme:

Classe del 2017, vi state laureando in un mondo che ha bisogno di scopo. Sta a voi crearlo.

Ecco cosa non mi tornava.
Davvero lo scopo che sostiene la mia vita e quella degli altri posso crearmelo da sola?
E anche se fosse vero, fissarsi uno scopo nella vita secondo il nostro desiderio assoluto lo rende di per sé qualcosa di buono, giusto e vero da augurare a tutti?
No, perché anche il ladro di banche ha uno scopo nella vita (fare soldi illegalmente) ma non lo incentiverei di certo.
O, senza essere estremi, qualsiasi scopo legale e quotidiano (famiglia, soldi, carriera, divertirsi, riposarsi) davvero non appare così piccolo e fragile di fronte alla grandezza della vita di ognuno?
Non mi sembra che la sola volontà personale possa reggere lo scopo di una vita intera e di tutto il mondo.
E credo che questo, pur inconsapevolmente, lo sappia anche Zuckerberg visto che conclude il suo intervento citando una preghiera: Mi Shebeirach.
Non un’invocazione qualsiasi ma una benedizione che, insieme ad altre, fa parte dell’Amidah, un’antica preghiera ebraica che viene recitata più volte al giorno secondo un rituale ben preciso.
Ora che il CEO del più noto social la affidi ad un discorso per la cerimonia di laurea non ne toglie l’essenza né elimina il fatto che lui conosca questa preghiera perché è stato educato in una famiglia ebraica e, quindi, gli sia arrivata attraverso una tradizione millenaria.
Non se l’è inventata, non avrebbe potuto, nessun uomo avrebbe potuto, eppure la percepisce come la cosa più importante a cui pensare di fronte a una sfida, l’augurio più grande da dare a questi laureandi, lo stesso che dà a a sua figlia “pensando al suo futuro quando le rimbocco le coperte”, e cioè quando gli deve essere più chiaro che la vita di sua figlia non gli appartiene e che c’è dentro una grandezza e un mistero – proprio nel senso di ignoto anche – che lui da solo non può manipolare.
La preghiera così recita:

Che la fonte di forza che ha benedetto quelli prima di noi ci aiuti a trovare il coraggio di rendere la nostra vita una benedizione”.

E, anche se non sono un’esperta di religione ebraica, sospetto che la “fonte di forza” invocata sia di natura eminentemente divina e non solamente un prodotto della forza di volontà dell’uomo.
E allora il mio augurio – nell’ulteriore accezione dell’augurio che faccio innanzitutto a me – sarebbe quello di spendere le proprie energie per cambiare il mondo, impegnandosi con i propri talenti, ma cercando, e magari trovando, questa “fonte di forza” senza allontanarsene mai.

Ostrica

http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2017-05-26/il-discorso-zuckerberg-ad-harvard-priorita-della-nostra-generazione–113251.shtml?uuid=AEuRYdTB&refresh_ce=1