Che cosa farai da grande?

Francesco, siciliano torinese, classe 1923, dopo la guerra ha fatto ogni genere di lavoro per costruire una famiglia e per continuare gli studi. Si è laureato, già papà, in pedagogia e ha continuato a fare l’impiegato fino alla pensione.

Melanie, 22 anni, fa la babysitter per pagare a rate il tavolo da 1200 euro per la casa in cui convive con il fidanzato (quello dell’Ikea non è di buona fattura!).
Wilma, cilena, 50 anni, è venuta in Europa per far studiare i figli in patria. Ora fa la babysitter per pagare un fondo pensione che le permetta di sopravvivere quando tornerà nel suo Paese.
Said, quarantenne marocchino con un talento innato per gli affari, preferisce fare il venditore ambulante (e di fatto vivere di elemosina) perché più redditizio di un lavoro tradizionale.
Sono concezioni diverse del lavoro. Chi è più sprovveduto? Chi più spregiudicato? Chi ha più dignità? Chi si gode di più la vita? Chi è più realista?
Un aspetto desiderabile – che sembra ignoto alla mia generazione – è la capacità di tenere insieme l’umiltà di adattarsi e la forza di non rinunciare ad una prospettiva grande.
In questo momento storico ed economico ciò mi pare essenziale. Perché non costruisce chi chiede finanziamenti per andare in vacanza o per comprare un’auto più bella; ma non costruisce nemmeno chi, avendone la possibilità, accumula denaro per il gusto di averlo, di sfoggiarlo o di poterlo usare a piacimento.
Io di solito vedo gente che si immola per la carriera o, viceversa, che si accontenta tristemente e vive aspettando il weekend (a volte tutte e due le cose insieme).
Invece possono essere chiesti due sacrifici opposti ma che derivano dalla medesima origine: quello di rinunciare al lavoro dei sogni per portare a casa il pane o quello di rinunciare a un riconoscimento immediato (in soldi, potere, carriera) per sviluppare un proprio talento e una propria professionalità. L’origine è la medesima perché per entrambi è necessario avere la prospettiva di una vita (se non dell’eternità) e la chiarezza che non è in una determinata professione che si può cercare il totale compimento.
In entrambi i casi è fatto fuori l’egoismo, l’egocentrismo del lavoro, perché le esigenze primarie, così come il bene di una famiglia sono dati della realtà, e sono altrettanto dati il talento, la dignità e il desiderio di costruire.


Sirenetta