COLLABORATORI COORDINATI E CONTINUATIVI A PROGETTO DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!!!

Cari amici,
Tonno Subito ha ragione; ma se non si decide a scrivere più spesso e a deliziarci con le sue “leggerezze”, sarete costretti a sciropparvi le riflessioni “pesanti”, come quelle che vado testè a esporre, del sottoscritto e di qualche altro abitante di questi mari.
Nel corso di questi mesi per parecchie persone sono scaduti o sono in scadenza diversi “contratti di collaborazione coordinativa e continuativa a progetto” stipulati direttamente con la Regione Molise o con società che prestano servizi consulenziali alla stessa, tra cui anche quello del sottoscritto.
Si tratta, nella maggior parte dei casi, di contratti stipulati con collaboratori che hanno svolto la loro attività presso la Regione Molise, con periodici rinnovi, da diversi anni: chi addirittura dal 2003, altri a partire dal 2005, altri ancora dal 2007/2008.
Gli aspetti del problema legati alla cessazione del rapporto di lavoro (perché sempre di rapporto di lavoro si tratta: che si definisca atipico, precario o altro, ci troviamo di fronte ad un rapporto di lavoro e a dei lavoratori) sono diversi.
In primo luogo occorre rendersi conto che il problema esiste; esistono dei collaboratori (padri e madri di famiglia per i quali, in alcuni casi, il co.co.co.pro. con la Regione Molise o con una Società di consulenza della stessa è l’unica fonte di reddito) il cui contratto è scaduto il 31 dicembre dello scorso anno, oppure il 28 febbraio, il 30 aprile, che scadrà il 30 giugno o, comunque, entro l’anno. I COLLABORATORI ESISTONO! Non sono invisibili o trasparenti, non sono delle meteore o dei lampi, che adesso ci sono e tra un pò non ci saranno più!
Sono persone reali – come i dipendenti della G.A.M., dello Zuccherificio, della Ittierre, etc.etc. -, che hanno il diritto di conoscere, quali lavoratori, il loro destino professionale e lavorativo.
L’altro aspetto del problema è che, nonostante la qualità e la quantità del loro lavoro siano equivalenti a quelle dei “colleghi” stabili, non sarà possibile, per loro, uscire dal limbo della precarietà e devono continuare a convivere con l’incertezza tipica derivante da tale condizione.
In terzo luogo, questi lavoratori non potranno mai fare delle “rivendicazioni”, né potranno mai aprire una “trattativa sindacale” o una “vertenza”, a causa della loro “atipicità”; infatti, nonostante ci troviamo di fronte a un numero abbastanza cospicuo di lavoratori, non è possibile neanche pensare di aprire un “tavolo di confronto” con la Regione Molise per la mancanza di una qualsivoglia soggettività di rappresentanza minimamente formalizzata.
Di fronte a questa situazione mi risulta che ognuno, singolarmente, sfruttando le risorse che ha a disposizione, batte una propria strada(come si dice, “chi fa per sé fa per tre”).
Per tentare di salvaguardare il posto di lavoro (e probabilmente anche la propria dignità) occorrerebbe, invece, battere una strada comune, che potrebbe essere tracciata attraverso tre modalità:

  • raccogliere la sfida di un paziente lavoro di coinvolgimento delle strutture tecniche e politiche della Regione;
  • costruire una minimale piattaforma che individui alcune esigenze primarie;
  • chiedere un confronto istituzionale (scusate la parolona) sulla problematica.

Io spero che questo percorso si riesca a condividere e si trovi una soluzione.
Ma anche se ciò non dovesse accadere, l’esperienza di marginalizzazione generata dall’instabilità contrattuale, dall’essere sottomessi ad un’insicurezza costante, dal non potersi dare delle regole fisse di consumo, dall’impossibilità di una minima programmazione e pianificazione familiare che non permette l’acquisizione di beni fondamentali, non avrà l’ultima parola e non saranno la frustrazione e l’esasperazione a prendere il sopravvento.

Pesce (ner)Azzurro