Cosa vuol dire essere Charlie?

“Di quanta crudeltà è capace l’uomo”. Queste parole di papa Francesco descrivono meglio di tante altre cosa abbiamo provato davanti alla notizia dell’attentato alla redazione della rivista Charlie Hebdo del 7 gennaio.
Di attentato terroristico si tratta. Cioè di un atto che, per la sua gravità, mina la stabilità e la sicurezza di un paese. In questo caso, si potrebbe dire, addirittura di una civiltà. Non è il primo né l’unico atto di questo genere in Europa. 11 marzo 2004 a Madrid 191 vittime. 7 luglio 2005 a Londra 52 vittime. Qualche tempo fa a Bruxelles.
L’altro giorno a Parigi,12 vittime, in pieno giorno ed in pieno centro. Nel cuore della cultura laica e pluralista. Proprio là dove si diffondono le idee per una libertà assoluta e per la tolleranza verso qualsiasi forma di pensiero.
La violazione della libertà di pensiero è un aspetto, ma non il più importante. Non ci siamo ancora resi conto della portata del fenomeno: siamo di fronte a giovani che amano la morte più della vita, animati da un desiderio di morte che si muovono liberamente per il nostro continente. Organizzati e uniti. Sono giovani che, benché nati in Francia, Inghilterra, Olanda, Italia, e nonostante abbiano frequentato le nostre scuole pubbliche, visto la televisione di stato e mangiato da McDonald’s, non si riconoscono minimamente nei valori occidentali. Non sono stati educati in modo convincente a una cultura della vita, del rispetto e della libertà.
Questi giovani musulmani francesi, inglesi, olandesi, in una parola “europei”, che si arruolano nelle orde dell’Isis o in Siria sono alla ricerca di una appartenenza totalizzante. Quello che hanno trovato è sì totalizzante, ma è anche totalitario. Ideologia. Cultura di morte.
Siamo di fronte a giovani che vengono affascinati da una proposta forte, perché promette grandezza, appartenenza e significato.
Nella cultura occidentale non si trova, invece, la stessa forza propositiva. Si trova tedio, noia, scetticismo, miscredenza e diffidenza verso ogni credo. Spesso la cultura che si proclama laica e pluralista, in cui ogni satira è lecita, considera la religione un aspetto da relegare alla sfera personale dell’individuo, ledendo così lo stesso principio che pretende di incarnare.
Chiediamoci, allora: noi europei cosa offriamo? Un laicismo che irride ogni appartenenza. Un relativismo senza identità vera che mina ogni certezza. Una libertà teorica che, in realtà, omologa tutti. Un pluralismo dove tutto è uguale e che lascia tutti soli.
E chi rimane solo è facile preda degli estremismi.
Cosa può aiutare, invece, ad una integrazione reale? Ripartire da ciò che siamo: una civiltà che si fonda sulla sacralità della persona e sul suo valore assoluto, per cui sono disposto a sacrificarmi purché sia affermata (come ci ricorda lo stesso Voltaire “Non sono d’accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee”). Sulla libertà, come legame, primo cemento per una società viva e veramente pluralista (come testimonia l’attività di migliaia di opere di assistenza e carità). Sul dialogo sincero tra uomini e non tra entità astratte (anche quando sembra che Occidente e Islam non possano comunicare, i singoli lo possono fare).
Il punto di reale lotta, lavoro e possibile costruzione è, quindi, riappropriarsi di una religiosità autentica, che nasce anche da 2000 anni di storia cristiana.

Stella Marina, Pesce Luna, Pastinaca, Fish and chips (articolo a più pinne)