Da Atlante a San Giovanni

Se una donna da un giorno all’altro non muove più una gamba, se un uomo lascia moglie e figli per non tornare più, se la politica è corrotta, se un terremoto arriva d’improvviso… Un uomo intelligente si chiede il perché. E un uomo responsabile, se sa che avrebbe potuto fare qualcosa per prevenire o per intervenire (un medico, un amico, un politico, un tecnico, un sacerdote…), se ne porta addosso il peso.
Siamo tutti potenzialmente come l’Atlante della mitologia greca che si portava sulle spalle il mondo intero. Abbiamo tutti potenzialmente lo sguardo di una mamma che guarda giocare il suo bimbo, e insieme alla fierezza di vederlo crescere ha un’inestirpabile desiderio di protezione, per cui vorrebbe custodire quelle gambette, le manine, le corse e i salti.
Ma questo nobile amore, questa abnegazione, questo dolore per gli sbagli (reali o presunti, presenti, passati o futuri) di chi ci sta attorno cela la trappola di una terribile presunzione, e dunque di un’ultima insoddisfazione: perciò qualcuno diventa cinico, qualcuno giustiziere, qualcuno fariseo, qualcuno disperato…
Ora, facciamo un gioco di immagini. Provate ad accostare alla figura dell’Atlante, possente ma piegato sotto lo sforzo di reggere il mondo, l’immagine di San Giovanni, all’ultima cena, tutto appoggiato alla spalla di Cristo; guardando quell’abbraccio diviene pian piano più semplice scoprire come possono stare insieme pace e responsabilità, forza e abbandono.
Come ha detto un futuro santo a due futuri sposi: dite un’ave maria ogni giorno alla Madonna, perché così diventerete grandi e potrete portare sulle spalle il peso di tutto il mondo.

Sirenetta