Declassamenti

Abbiamo assistito in questi giorni a un nuovo declassamento del rating italiano e di altri paesi europei.
In particolare al debito dell’Italia è stato assegnato, senza tener conto dei sacrifici richiesti dalla finanziaria,  da parte di Standard & Poor’s , (e pare che Fitch voglia fare lo stesso) un voto BBB+ che equivale a dire che l’Italia sarà solvente anche in caso di crescita negativa del PIL  fino al 3%.
La cosa che ha fatto più scalpore di tutti è stata la perdita della tripla A da parte della Francia, insieme ad altri Paesi.
I mercati hanno abbastanza ignorato questi giudizi, da più parti ritenuti esagerati. Certo è che desta sospetti il tempismo con cui per l’ennesima volta le società di rating  si sono mosse.
Non passa indifferente il fatto che dopo un periodo travagliato il mercato sembrava più calmo, e i collocamenti di Titoli di Stato di diversi Paesi europei avvenivano con buona domanda e tassi decisamente inferiori a quelli dei mesi precedenti (in Italia le ultime aste di BOT hanno visto dimezzare i tassi rispetto alle precedenti emissioni). E la stessa situazione si è avuta quando ci sono stati i precedenti downgrade.
Come si dice “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca”.
Infatti le società di rating hanno lo scopo di esprimere un giudizio terzo e indipendente sulla solvibilità di uno Stato o un’azienda, in modo da poter offrire un parametro di giudizio obiettivo al compratore di titoli di debito da questi emessi, in modo da poter valutare adeguatamente il rischio a cui si va incontro e il rendimento ad esso adeguato.
Ma non possiamo fare a meno di ricordare che queste società così indipendenti non sono, ma sono partecipate da grosse banche d’affari e hedge founds. Cioè coloro che possono muovere grossi capitali nei mercati e che dal rialzo o dal ribasso dei valori dei titoli quotati guadagnano fiumi di denaro.
Dunque chi ci dice che S&P non abbia avvisato i suoi azionisti prima di emettere il giudizio, o l’abbia emesso in accordo con loro in modo tale questi, con dei titoli che scommettevano sul ribasso dei mercati, abbiamo guadagnato dalla  perdite di Borsa? Chi ci dice che gli azionisti di S&P non gradiscono molto la calma nei mercati e sui tassi dei titoli di Stato?
E si può forse negare l’interesse che tali società hanno nel difendere il dollaro e la finanza degli Stati Uniti?
E il giudizio di queste società, che davano a Lehman Brothers la tripla A il giorno prima di fallire, è davvero così attendibile?
I cinesi hanno già posto rimedio allo strapotere delle 3 società di rating creandosi una loro agenzia nazionale: la Dagong il cui presidente Guan Jianzhong senza mezzi termini afferma che le informazioni che le agenzie di rating pubblicano non sono imparziali e si prestano a forzature ideologiche e politiche del merito di credito.

Ichthys

3 Risposte a “Declassamenti”

  1. Ciao Ichthys!
    avrei due domande:
    1)Quali sono le grosse banche d’affari e hedge founds che hanno “dei pezzi” delle società di rating? voglio i colpevoli! 🙂 anche a me giovane campagnola ingenuotta era venuto il sospetto che non erano proprio imparziali questi giudizi..sai dopo le AAA con bacio accademico e complimenti alla mamma che avevano dato alla Parmalat sull’orlo del fallimento..e soprattutto perchè i giornali nel loro marasma informativo non ne parlano? credo sia più interessante una cosa del genere che per esempio pubblicare l’infinito vociare sul tatuaggio di Belen..ho sbagliato esempio..!!!! 🙂
    2)ma “si può forse negare l’interesse che tali società hanno nel difendere il dollaro e la finanza degli Stati Uniti?”
    scusa ma se si svaluta il dollaro non è un problema per tutti?
    Balena (TheLame)

  2. Cara Balena, per rispondere alla prima domanda copio di seguito un estratto dell’articolo di Mauro Meggiolaro scritto l’11.08.11 per Il Fatto Quotidiano:

    “La questione del controllo è più complessa da risolvere. S&P’s e Moody’s sono ad azionariato diffuso: le azioni sono in mano “ai mercati”. A chi in particolare? Partiamo da Standard & Poor’s, che è una divisione del colosso americano dell’editoria e dell’informazione Mc Graw Hill. La schermata di Bloomberg sulla società ci informa che il 100% del capitale è “flottante”, disponibile alla negoziazione sui mercati. Tutti possono comprare tutte le azioni della società, ma alcuni investitori ne hanno già in portafoglio percentuali rilevanti. Capital World Investors, il primo azionista e uno dei primi gestori indipendenti di fondi negli Usa, ha il 12,45%. Seguono altre società di asset management come State Street (4,39%), Vanguard (4,22%), BlackRock (3,89%), Oppenheimer Funds (3,84%), T. Rowe (3,36%), un gestore “activist” di fondi hedge come JANA Partners (2,95%), e Ontario Teachers’ Pension Plan Board, il fondo pensione degli insegnanti dell’Ontario, con il 2,27%. Il signor Mc Graw (Harold III) mantiene invece una quota del 3,96% ed è presidente e amministratore delegato della società. In consiglio di amministrazione siedono anche Sir Winfried Bischoff del Lloyds Banking Group, professori universitari, presidenti o ex amministratori di società come Coca Cola, British Telecom ed Eli Lilly e altri esponenti del mondo finanziario.

    L’analisi degli azionisti di Moody’s dà più o meno lo stesso risultato: la società è controllata da grandi investitori finanziari e colossi dell’asset management. In testa a tutti, con il 12,42%, c’è Berkshire Hathaway di proprietà di Warren Buffett, “l’oracolo di Omaha”, uno dei più ascoltati e controversi investitori americani. Buffett, che il 30 agosto compirà 81 anni, è il terzo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato di 47 miliardi di dollari, ma nel 2008, grazie al balzo in borsa di Berkshire Hathaway e a una serie di investimenti azzeccati, è saltato addirittura al primo posto, superando Bill Gates. Dopo Buffett tra gli azionisti di Moody’s c’è ancora Capital World Investors (12,33%) e quindi il gestore ValueAct Capital (6,06%), e di nuovo T. Rowe (5,92%), Vanguard (3,35%), State Street (3,35%) e BlackRock (3,27%). Una quota dell’1,81% è detenuta da TIAA-Cref (1,81%), fondo pensione di insegnanti e accademici americani. Nel consiglio di amministratore di Moody’s siedono ex dirigenti in pensione di big del mondo bancario come Citigroup e ING, professori di finanza ed ex direttori di grandi corporation americane. Il presidente e direttore generale è Raymond Mc. Daniel Jr, che ha iniziato a lavorare per Moody’s nel 1987.

    Fino a qui il messaggio è chiaro. Standard & Poor’s e Moody’s, le maggiori società di rating del mondo, che con un downgrade possono scatenare reazioni a catena nei mercati e portare a scelte politiche con pesanti effetti economici e sociali, sono controllate dagli stessi grandi investitori che non esitano ad attaccare Stati e imprese quando si diffondono anche solo voci su possibili tagli dei rating.

    Il quadro si completa con Fitch. La terza sorella del rating è anche la più piccola e l’unica non americana. E’ controllata (al 60%) dalla finanziaria francese Fimalac, fondata e diretta da Marc Ladreit de Lacharriere, un imprenditore francese di 71 anni, che “dopo aver passato l’infanzia nel castello di famiglia” è stato dirigente e amministratore di numerose società francesi come L’Oréal, Crédit Lyonnais, Air France e France Télécom. Oggi siede nel board di Casino, L’Oréal e Renault, è membro del Comitato Consultivo della Banca di Francia e, per gli amanti della teoria del complotto, presidente della sezione francese della Bilderberg.

    Ieri, mentre si stavano diffondendo insistentemente le voci su un possibile downgrade della Francia, Fitch è uscita per prima confermando il rating tripla A della Francia, con un outlook stabile. Che si tratti di un caso?”

  3. Per quanto riguarda la seconda domanda, hai ragione nel dre che se il dollaro si indebolisce troppo ci perdiamo tutti, soprattutto per il fatto che porterebbe danni pesanti alla nostra bilancia commerciale in quanto per gli USA diverrebbe più costoso importare dall’Europa, mentre sarebbe meno caro per noi il costo del petrolio (che si paga in dollari). Ma è anche vero che per chi ha riserve di dollari diverrebbe più costoso muovere capitali in giro per il mondo, così che la forza finanziaria di una società diverrebbe minore.

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