
Non è un gioco di parole o forse, anche: quelli che per alcuni sono diritti per altri sono… distorti. La questione principe è intendersi su cosa significhi ‘diritto’, quali siano i diritti e le loro variegate accezioni. (In senso oggettivo il diritto è il complesso di norme giuridiche, che comandano o vietano determinati comportamenti; in senso soggettivo è la facoltà o pretesa, tutelata dalla legge, di un determinato comportamento attivo od omissivo da parte di altri).
Ci sono poi le varie tipologie della dottrina generale del diritto. Ma ci sono altre tipologie, oggi di moda: diritti inviolabili, diritti non negoziabili, diritti universali, relativi, diritti civili, sociali, diritti naturali: tutte queste accezioni fanno venire in mente (istintivamente… perché il nostro cervello funziona anche così) i loro contrari: diritti violabili, negoziabili, relativi, incivili (?!), innaturali, quelli a tempo determinato, quelli a tempo indeterminato, quelli precari e quelli per sempre, (come i contratti di lavoro). Dimoriamo facilmente nell’oscillazione, anche su questa problematica: affermazione di diritti e la loro negazione, a volte per convenienza, per circostanze diverse. Insomma una questione complessa. E poi c’è da aggiungere che ogni diritto avrebbe una sua scala che misura i gradi di compattezza, di durata, di solidità o volatilità.
Oggi sembra prevalere il dibattito, a volte con toni graniticamente dogmatici, sui diritti civili, (non quelli così definiti dalla dottrina classica, cioè di parola, di espressione, stampa, associazione, istruzione, salute, lavoro, abitazione, cittadinanza, quelli propriamente politici etc.) ma quelli che attengono a questioni fondamentali e che vengono fatti coincidere con scelte soggettive, personali (del momento o per sempre) e di cui si chiede il riconoscimento pubblico, con legislazioni proprie, equiparandoli a diritti costituzionali e perfino a diritti naturali; corre l’obbligo di chiedersi se sia mai possibile questa equiparazione, primi fra tutti quelli che attengono alla vita e alla morte, come il diritto all’aborto, all’eutanasia, all’unione di coppia, per citare quelli sui quali le società occidentali, in primis, hanno giocato le loro carte negli ultimi decenni e misurano il loro… progresso. Pare essere a monte di queste discussioni il concetto di natura, in cosa consista, se sia ancora condiviso o semplicemente un ferro vecchio e se le legislazioni in primis debbano pre-mettere, come condizione imprescindibile, tale concetto. (Di per sé la natura non esiste, esistono esseri concreti ai quali competono, nativamente, certi diritti). A volte, paradossalmente, per giustificare i cosiddetti diritti civili questi vengono presentati come diritti naturali: forse c’è una leggera confusione.
Oggi il concetto di natura in sé non pare avere tanti assertori/difensori, con la conseguenza che esso venga soppiantato/sostituito dal concetto della soggettività, e quindi della relatività, di fatto prevalente nelle società… avanzate. Si sa che alla relatività si oppone l’assolutezza, una oggettività inviolabile e inattaccabile che viene intesa come dogmatismo autoritario impositivo e che non ha molti fans; chi lo governerebbe questo dogmatismo? Il problema in parte esiste e si risponde: chi controlla e governa le coscienze. Ma questo vale anche per il contrario: ci sono poteri che controllano o influenzano le coscienze in merito alla negazione di un’oggettività naturale e quindi di diritti tradizionalmente ritenuti naturali. E così tra il diritto e… il distorto siamo come in una morsa, dalla quale non ci liberiamo se la coscienza del soggetto continua a pensarsi come una monade, chiusa in se stessa e autoreferenziale, e non invece relazionale, organicamente inserita in una realtà che la trascende e nello stesso tempo la sostiene e la giustifica.
Moscardino