Dubai, splendore e miseria

Dubai, splendore e miseria
Foto di Dubai

Dubai, dall’altra parte del mondo (europeo), dove meno te lo aspetti (tutti ti hanno detto che avresti trovato un mondo finto) ti sembra di essere dentro un nuovo Rinascimento. C’è una dimensione di grande e di eterno nella costruzione di questa città.

Lo skyline è pazzesco perché di grattacieli ce ne sono migliaia, tutti diversi e tutti esprimono ambizione e mi è subito venuto in mente il brano di don Giussani sul tentativo dell’uomo di costruire un ponte tra cielo e terra.
Immaginiamo il mondo come un’immensa pianura, in cui innumerevoli gruppi umani sotto la direzione dei loro ingegneri e architetti s’affannino con progetti di forme disparate a costruire ponti dalle migliaia di arcate che siano raccordo tra la terra e il cielo, fra il luogo effimero della loro dimora e la «stella» del destino. La pianura è affollata da uno sterminato numero di cantieri in cui si svolge il lavoro febbrile. Arriva a un determinato momento un uomo e con lo sguardo abbraccia tutto quell’intenso lavoro di costruzione e, a un certo punto, egli grida: «Fermatevi!». Tutti via via, a cominciare dai più vicini, sospendono il lavoro e lo guardano. Egli dice: «Siete grandi, e nobili, il vostro sforzo è sublime, ma triste, perché non è possibile che voi riusciate a costruire la strada che unisca la vostra terra al mistero ultimo. Abbandonate i vostri progetti, posate i vostri strumenti: il destino ha avuto pietà di voi; seguitemi, il ponte lo costruirò io: io infatti sono il destino». (Luigi Giussani, All’origine della pretesa cristiana, Rizzoli, Milano 2001, pp. 36-38)
L’Emiro Al Maktum negli ultimi 50 anni ha guidato il suo popolo con un’idea: costruire una città che non vivesse di solo petrolio (il petrolio rappresenta solo il 20% della richezza di Dubai) ma ha immaginato e continua ad immaginare una città dove portare tutto quello che c’è di bello da ogni parte del mondo (in particolare dall’occidente perché diverso da loro) ed essere il luogo dove i talenti si esprimano affinché possano innovare e lasciare un segno di bellezza e grandezza per il futuro.
Ma non è solo una questione di costruzioni, è un tentativo culturale a 360 gradi. Ogni anno l’emiro esprime 5 punti chiave (KPIs) per l’anno che verrà ed intitola l’anno ad un’aspirazione morale: si è appena concluso l’hanno della tolleranza.
Ci sono questioni che per noi europei sono ormai talmente lontane che ci sembrano superate: ma ad esempio il governo di Dubai ha appena firmato un accordo con la comunità ebraica ed è stata costruita una sinagoga per permettere agli ebrei che vivono a Dubai di professare liberamente il proprio culto, così come già aveva fatto con i cristiani e gli induisti. Questo senza smettere di essere se stessi, ovvero mussulmani, e continuando ad esempio a trasmettere 5 volte al giorno la preghiera con gli altoparlanti in tutta la città, così anche indirettamente aiutando un cristiano come me a ricordarsi 5 volte al giorno di Dio.
Solo che mi pare che l’idea di uomo che si sono fatti (evidentemente quella che l’occidente ha dato di se) sia davvero piccola: ci vedono come dei consumatori un po’ bambini, a cui bastano parchi divertimento, shopping e intrattenimento, tutto assolutamente a 5 stelle. Ed invece io non sono così, e lo scarto lo accusi girando nel Dubai Mall (il più grande del mondo), dove apparentemente ci dovrebbe essere tutto, eppure non c’è. Era evidente pure ai nostri figli che di solito si fermano alle cose da comprare…
E ci siamo chiesti: di che cosa abbiamo bisogno? Abbiamo bisogno di vivere per qualcosa di più grande di noi stessi, il mondo ha bisogno di una proposta per cui valga la pena vivere e non appena consumare.
C’è una grande possibilità (che da italiana ed europea un po’ invidio, perché qui pare essersi persa questa capacità di pensare ed investire in grande), ma anche una grande responsabilità nel mostrare al mondo che cos’è l’uomo e per che cosa è fatto.
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