Errare humanum est

Passa un aereo, naso all’insù, occhi al cielo: “Quale misterioso uomo di mondo sarà lassù e dove starà andando? Quale premurosa donna lo starà aspettando in aeroporto?”. Passa un elicottero e le mani dei bambini si agitano: salutano perché c’è qualcuno, là sopra, che sta volando, per loro è ovvio.

Ho sempre curiosato nei mezzi di trasporto: sono degli interessanti collage colorati che portano dentro tanti pezzi di vite diverse, che posso cogliere in un particolare; il naso schiacciato sul finestrino del bambino in prima classe (“è un bimbo curioso!”), la borsa abbinata con il rossetto della signora nel terzo vagone (“si guarda allo specchio per ore, lo so…”), la ragazza che aggiusta il finestrino perché gli altri nel vagone hanno freddo (“sarà un’infermiera?”). Il controllore, con la sua divisa, lo sguardo accigliato, l’occhiale sceso sul naso… tutte le mattine si veste, indossa la sua autorità. Li immagino tante volte i controllori, senza quella giacca e il cartellino; mi chiedo se si sentono vivi allo stesso modo, quando li tolgono. L’autista – mi chiedo – lo sente ugualmente il potere di spostare un mezzo secondo le sue intenzioni? Nella sua vita di tutti i giorni, la avverte quella responsabilità di guidare e muovere se stesso e le cose con uno scopo, come fa con il treno? Spesso alla fine li interrogo. “Occorre sottolineare la dignità che l’uomo ha: un essere che ha un destino infinito, e allora ve lo ritroverete per l’eternità. L’aver visto una volta una persona vuol dire averla vista per l’eternità, è un rapporto che vale per sempre”, mi hanno detto. Ho passato tanti momenti a guardare la gente che parte. La gente che parte ha aspettative, ha qualcuno che l’attende, un’occasione da cogliere, un letto dove riposare; ha come uno scopo, evidente dai loro sguardi, ha qualcosa che mi fa incantare a guardarla.

In Puglia due treni si sono scontrati frontalmente dando la morte a diverse persone, e io sono più vicina di chiunque agli amici pugliesi che non sono arrivati a destinazione. Sono vicina agli uomini il cui viaggio si è interrotto. Ho presente i controllori, tengo a mente gli autisti. Le vittime e i colpevoli necessitano dello stesso abbraccio, ora.

Ho sentito al telegiornale che il presidente del consiglio ha assicurato giustizia per le famiglie delle vittime, con i suoi mezzi di condanna ed accusa. E quanto li sento riduttivi quando ripenso agli incontri che faccio sui treni! Ci sono 1, 2, 3 … 10, 11, più morti, diversi responsabili dell’incidente, e dietro ogni numero c’è una vita che ha il sapore di un mistero gigante. Come cambierebbe il nostro concetto di giustizia, se avessimo questa consapevolezza!

Non c’è risposta umana che regga di fronte al dolore della morte. L’uomo non è una macchina perfetta, ha una falla che nessun sistema perfetto può colmare. Guardare questo, arricchire d’esperienza che “errare è umano”, constatare che l’uomo, cioè ognuno di noi, è fallato ed imperfetto, offre uno sguardo di libertà, dà respiro e apre uno spiraglio luminoso sull’accaduto. Ci sentiamo, così, una cosa sola con i cari che non ci sono più ed amici di chi ha sbagliato. La gabbia della perfezione, che la legge vuole illudersi di costruire, invece, delude inevitabilmente, perché propone una risposta finita, ridotta, alla nostra persona, dietro cui, invece, si nasconde una trama di avvenimenti permeati da un mistero infinito e irriducibile.

Pescinfaccia