EUTANASIA IN OLANDA

La scienza che ha smesso di fare scienza.

Ha in sé qualcosa di triste e drammatico ciò che sta succedendo in Olanda.
Da quando è stato reso sempre più “libero” il diritto di morte per eutanasia sembra che questa nazione abbia perso letteralmente la voglia di vivere. Dette così queste affermazioni, riportate da alcuni articoli di Newsweek (www.newsweek.com – Choosing die Netherlands euthanasia debate) e de Il Foglio (www.ilfoglio.it – Il nichilismo dei tulipani. L’Olanda ha perso la voglia di vivere), sembrano alquanto forti ma bisogna andare a vedere nei fatti per capire bene di cosa si sta parlando.
Sono molti i casi degli ultimi anni dove le persone scelgono l’eutanasia solo per aver perso la voglia di vivere.
Partiamo dall’ultimo caso, quello che riguarda Gaby Olthuis, mamma di due figli e clarinettista in carriera che ha deciso di farla finita a 47 anni per un disturbo all’udito.
La commissione che si occupa di vagliare i casi di eutanasia in Olanda ha giudicato negligente il comportamento della clinica Levenseindekliniek, che si è occupata della procedura.
Gaby si era ammalata di Acufene, un disturbo uditivo causato da rumori come fischi e ronzii che l’orecchio percepisce come fastidiosi.
Proprio lo scorso anno aveva raccontato la sua storia a giornali e tv olandesi:

«NON VORREI MORIRE». «Un atto disumano», lo aveva descritto la donna stessa, anche perché «ho due bambini, non puoi morire, lasciare due figli. Vorrei anche fare tante cose, non è che non voglio vivere».
Spiega la madre di Gaby che quando gli operatori della clinica «acconsentirono all’eutanasia li salutò prendendosi il tempo per organizzare il suo funerale».
Il primo febbraio del 2014, esattamente un mese dopo l’intervista, la donna morì dopo aver ingerito un farmaco letale preparato dallo staff della clinica.
Proprio guardando questo fatto in tutto il suo dramma, in tutto il suo dolore che suonano come un urto al cuore le parole di Umberto Veronesi quando ad un intervista su Oggi di Novembre del 2014 intitolata “Fidatevi della Scienza” disse che «la sfida di domani, per gli scienziati, sarà quella di uscire dai laboratori, per affrontare le tragedie dell’umanità». Viene da chiedersi se è questo il metodo giusto o se è più scientifico lavorare per cercare una cura ad una malattia come nel caso di Gaby.

Sushi