Good and goods

In una voce della “Encyclopedia of philosophy” della Stanford University – intitolata “The Economic Analysis of Law” – mi sono imbattuta in questa domanda: come può qualcosa essere un bene per noi (come collettività) senza essere un bene per ciascuno di noi in particolare?
Si parla della teoria dei “beni” comuni tra cui alcuni annoverano ad esempio l’uguaglianza: una società con una sostanziale uguaglianza di benessere sarà migliore di una società in cui vi siano livelli di vita degli individui profondamente differenti.
Ok. Ma portando agli estremi questo ragionamento, si potrebbe anche dire che si “sta meglio” in un sistema dittatoriale, anche se la storia ha più volte dimostrato che una società libera è sempre meglio di un regime.
Superando la prospettiva strettamente economica – in cui è impressionante scoprire come anche l’ambito “freddo” dell’economia si scontri inevitabilmente con i problemi del bene, della libertà e della responsabilità – è evidente a tutti come in Italia, e in Europa, sia urgente trovare un’unità tra i “beni” in gioco.
Tutte giuste, o tutte sbagliate, le voci che si levano dalle varie parti? Sta di fatto che vi sono istanze di per  sacrosante (non tutte!) ma apparentemente incompatibili tra loro: rappresentanza e governabilità, autonomia nazionale e Unione Europea, tasse e consumi, giustizia e politica, Grecia e Germania, Berlusconi e moderati, tecnici e non tecnici… “Chi ci libererà da questa situazione mortale?”
Credo allora che possa essere interessante tenere presente la domanda iniziale, perché io cerco un bene per noi (tutti) che sia anche un bene per ciascuno di noi. Nella ingarbugliata situazione in cui ci troviamo, questa ricerca probabilmente richiederà sacrifici economici e non, la rinuncia a misure prestabilite, iniziative intelligenti di imprenditori, di politici e di santi.
Ma è la strada che, nel mio piccolo, mi sentirei di indicare a tutti.

Sirenetta