La grande mediocrità

Ho visto finalmente La grande bellezza, pluripremiato nel mondo e in Italia.
E così, una volta di più, mi sono reso conto che i premi culturali sono espressione ben determinata e consapevole della leadership mondiale. Il film è ben girato, non c’è dubbio, e ricopia un po’ i canoni – ben più gustosi – di Fellini. Il messaggio del film, però, è finto. Finto? Sì, il messaggio è che la vita è meschina e che ogni tentativo di essere migliori è inutile, stupido e falso. Meglio essere onestamente cinici e senza significati. “Non c’è ideale a cui possiamo sacrificarci perché di tutti conosciamo la menzogna, noi che non sappiamo cosa sia la verità” diceva Malraux. È una descrizione finta perché l’uomo è meschino ma è anche appassionato, cercatore per natura, capace di improvvisi atti eroici, attraversato da desiderio di darsi almeno quanto voglia prendere. Soprattutto, l’uomo che lavora, deve tirar su una famiglia e una casa, che vuole bene a persone concrete che hanno bisogno di lavoro o di pane o di pace si pone delle domande per trovare risposta e lotta sempre per trovarla. Perché ha bisogno delle risposte per vivere. Magari si sbaglia, ma si impegna con la vita, con le sue domande e con le sue proposte.
La grande bellezza del film, invece, è un attimo di estasi che non accade mai, che non genera mai impegno, che non muove mai la libertà. Il grande ricordo su cui si basa la storia è un amore che non accade mai: un’evasione estetica incompiuta.
Al potere culturale fa comodo proporre un uomo senza ideali perché è un uomo solo e debole, che non lotterà per nulla, e che accetterà presto tutto quello che gli si dice… e gli si vuol far comprare.

Torpedine