
“E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te”. E’ per esorcizzare l’esposizione all’abisso durato 2 ore e 17 minuti al prezzo di 8 euro e 90 che scriviamo queste poche righe a proposito del nuovo film di Paolo Sorrentino, “Parthenope”. Non abbiamo velleità da critici cinematografici, solo una cupa e scomposta esigenza di reagire, da spettatori paganti, alla visione di un violento stordimento da cui si riemerge a fatica, con l’iniziale dubbio e la finale certezza che non ne sia valsa la pena riempirsi gli occhi di tutto quel male e di tutta quella bellezza violenta.
La regia è meravigliosa: l’inquadratura a picco sul mare, tra i faraglioni di Capri, è indimenticabile. La storia è sempre la stessa storia di Sorrentino: un personaggio, la bellissima Parthenope, assente a se stessa che si muove nel mondo, secondo uno “stream of meeting”, incontrando tutte le forme della meschinità umana: la bassezza, il sudiciume, la contraddizione. C’è il ricco seduttore, il poeta ubriaco, l’attrice decaduta, il giovane dannato, la diva disperata e, ovviamente, il chierico lussurioso. C’è anche l’esplicito proposito di ferire, provocare, disgustare noi spettatori paganti, vittime silenziose del complesso di inferiorità nei confronti del grande regista. La bellezza della natura e l’orrido umano si mescolano, l’una fa da sfondo all’altro, in un gioco di luci e ombre tra le strade di Napoli. Strade già battute da tanti romanzi e tanti film che ce le hanno mostrate e raccontate con molta più profondità e senso della complessità.
I dialoghi del film sono un perpetuo singhiozzo di frasi ad effetto che, non trovando mai un ancoraggio ad una verità, finiscono per fluttuare nella banalità. “A cosa stai pensando?” chiedono a ripetizione i vari personaggi a Parthenope: alla fine viene il dubbio che lei non pensi, non ne sia capace. Il massimo della complessità verbale si raggiunge in alcuni monologhi sul rimpianto della giovinezza, la bellezza dell’infanzia, l’angoscia del tempo che fugge. “E’ tutto un mistero o una truffa?” chiede Parthenope verso (l’agognata) fine del film. Ai titoli di coda possiamo con certezza affermare che il film è una truffa.
Medusa