Il medico dell’anima

“Basta che c’è la salute!”. Quanta verità nei detti popolari, da sempre testamento non scritto di una cultura che si tramanda e che, tramandandosi, muta e si adatta ai tempi, rinnovandosi. Viva l’anziano (nel senso del congiuntivo presente!) e viva i proverbi! Mai un detto però fu più pertinente con la situazione attuale, che non serve riassumere.

Siamo tutti d’accordo, anche i potenti stavolta, nel dire che la salute è primaria, è un bene primario, come il respirare, il mangiare. Ed i social – da qualche anno accusati di lesionare e compromettere gravemente i rapporti sociali ed amicali – stanno danno il loro contributo, mettendo in contatto famiglie ed amici che prima si vedevano di frequente, ed ora è come se fossero dall’altra parte del Mondo. Insomma, la salute è tutto, il mondo se ne è accorto e sta reagendo. I medici, infermieri ed operatori sanitari sono in “prima linea”, ed il termine bellico non a caso è usato ad indicare che è come se fossimo in guerra, almeno dal punto di vista socio-economico. Che bello, tutti all’opera, tutti insieme appassionatamente, cantando sul balcone, e ne usciremo! W l’Italia!

Eppure… due cose in questa quarantena mi hanno sorpreso e mi hanno fatto riflettere.

(i) La prima: “andrà tutto bene”. Mi sono sorpreso nel non trovarmi a mio agio nell’arcobalenica diffusione del motto, a tutte le latitudini. Mi sembrava un ottimismo nell’uomo, nella sua riuscita, nella capacità di farcela, lontana anni luce dalla Speranza cristiana. Mi sono imbattuto in questa frase di Václav Havel – che certamente non esaurisce il concetto – ma credo che spieghi bene la differenza: “La speranza non è per nulla uguale all’ottimismo. Non è la convinzione che una cosa andrà a finire bene, ma la certezza che quella cosa ha un senso indipendentemente da come andrà a finire”. Ecco! Il punto è che potrebbe finire male, o meglio, potrebbe anche finire male (come le tante cose della vita possono andare male, oggettivamente, male. A chi non capita?). Ma il punto è che l’esito non cambia il giudizio: esiste un senso, esiste un fine ultimo in cui nulla è perduto. Ed il tentativo umano, per quanto la probabilità di riuscita sia alta, è sempre consapevole di questo senso sotteso in tutte le cose. E’ il senso che dà vita alle cose, non il viceversa. Questo giudica come spendo le ore in quarantena, come lavoro, così come la strategia che i capi di stato mettono in atto e cosa sono pronti a sacrificare (e cosa no). Perché l’ottimismo delude, la Speranza no. L’ottimismo si contraddice – perché quando va male ha perso – la Speranza no. L’ottimismo ti rassicura e sposta la responsabilità verso chi può realizzare la promessa, mettendoti in attesa, la speranza invece ti rende certo  e ti mette i movimento.

(ii) La seconda, da cui il titolo: Possiamo fare a meno di tutto, ma non della salute, prerogativa a qualsiasi attività umana. E di Cristo? Cosa diciamo di Cristo? Si può fare a meno del corpo di Cristo per ragioni sanitarie? Se è vero che per il cattolico l’Eucarestia è il corpo di Cristo – che nutre – può essere questo bisogno messo in quarantena perché la situazione non lo permette? Intendiamoci, nessun dubbio sulle misure restrittive che il Governo ha stabilito: ma così come i medici curano il corpo negli ospedali, rischiando anche la vita, perché i sacerdoti non possono curare l’anima, magari andando “porta a porta” (lo fanno già con le benedizioni, sono collaudati!), opportunamente protetti, a portare l’Eucarestia? Perché la spesa online può arrivare a casa tua da operatori che – si spera – prendano le giuste precauzioni, e il pane dell’anima no? Chi lo ha vietato? O, temo, chi ha abdicato a questa necessità? Non è forse il sacerdote il medico dell’anima?

“Le cose si giudicano quando vanno bene!” Così mi ripeteva tempo fa un amico, ad indicare che è nel momento di “quiete” che l’uomo dovrebbe giudicare il valore delle cose, per riscoprirne il valore quando arriva la tempesta. E’ così con tutto, è così anche con la fede.

Cosa rimarrà quando il COVID-19 sarà passato (perché insomma, è dura ma è chiaro che l’ottimismo deriva dall’evidenza che l’uomo è in grado di gestirlo, altrimenti l’unico canto dal balcone sarebbe il mors tua vita mea). Rimarrà un popolo fortificato nella convinzione che la salute, quella sì, è davvero necessaria (nulla di male). Ma la fede….dai Gesù Cristo, sì dai quello dell’Eucarestia che dicevamo che era il pane della vita, che nutra l’anima e di cui non si può fare a meno….forse sì. Non era necessario perché lo diceva la Chiesa, lo diceva la Chiesa perché era necessario. Perché, forse non ti sei accorto, non ti manca? Ma ci manca?

E rimarrà una società, con la Chiesa ed i suoi preti: la prima, precettata e considerata al pari (forse meno) di pub e ristoranti; i secondi, non troppo lontani da quello che potrebbe essere un obiettore di coscienza…

Ah, sì, e poi ci sono loro: i cattolici borghesi, che diranno “però, visto? La Chiesa ha fatto un passo indietro davanti al rischio della salute delle sue pecorelle, ci vuole davvero bene!”.

A me manca un casino!

AGGIORNAMENTO: il mio parroco dà l’Eucarestia per chi la vuole. E’ sempre in Chiesa. Un mito!

Pesce allergico