Il mio lavoro non mi porta molto a spostarmi dall’ufficio, tranne in rare occasioni. Mai avrei creduto che un giorno le circostanze mi avrebbero portato a tenere una lezione sull’uso del PC ad alunni particolari: dei detenuti di un carcere. Non nascondo la mia perplessità, ma anche la curiosità di una tale esperienza, che si è acutizzata una volta varcata quella soglia, tra i poliziotti che mi accompagnavano tra i corridoi e chiudevano le pesanti porte di ferro dietro le loro spalle e persone che riuscivo a scorgere tra le sbarre. Una sensazione molto difficile anche solo da raccontare, in cui sentivo inevitabilmente del dolore, che si è acutizzato quando sono entrato in “classe” e ho visto che gli alunni andavano dai 18 ai 60 anni. Ho pensato: ma che cosa ha spinto loro a fare quello che hanno fatto (qualunque cosa sia)? Cosa c’è di diverso tra me e loro? Sicuramente, se loro sono lì, è perché hanno sbagliato, ma uno sbaglio (che, se ci pensate, è solo un attimo, un attimo di differenza tra me e loro) non può essere l’ultima parola su di loro, che è giusto che paghino, ma è altrettanto giusto che possano chiedere perdono e ricominciare. Quello che andavo a fare io quel giorno era proprio un modo per loro di ricominciare.
Allora, a fine giornata ho ringraziato e pregato affidandomi all’Unico che può cancellare quell'”attimo” con la sua misericordia, all’Unico a cui si può chiedere perdono senza avere timore, e che può salvare me e loro.
«È nella compagnia di Cristo che non c’è timore, quante volte l’ha ripetuto il Vangelo: “Non temere, piccolo gregge“. Non temere: io ti salverò su questa strada, io ti farò compiere questa strada; non temere. Non temere ciò che ti circonda e non temere te stesso. Temere se stessi è mettere sé di fronte agli occhi, prima di tutto il resto, prima di Cristo; temere se stessi deve essere strappato via al nostro sguardo perché Cristo domini, perché Cristo sia il Signore dei nostri occhi».
Squalo