La città delle ossa di Michael Connelly

Autore di lungo corso che negli ultimi anni ha raggiunto la celebrità, Connelly ci presenta l’inossidabile investigatore Hieronimus Bosch che scava in un irrisolto e intricato delitto, ormai sepolto da vent’anni. E’ un’indagine che, muovendosi nella degradata periferia di Hollywood, rinvanga miserie e atrocità di famiglie al limite della sopravvivenza e entra nel mondo, colmo di sofferenza, dei ragazzi abbandonati, assistiti da istituti o da famiglie. Un universo in cerca di adozione, di accoglienza ma soprattutto di redenzione. Un universo in cui Bosch si accorge di essere non solo spettatore ma dolorosamente protagonista. Man mano che l’indagine procede anche la riflessione sulla realtà va avanti e le ossa esaminate (del piccolo Arthur ma anche di altri assassinati) diventano simbolo del Male che imperversa nel mondo, oggi, ieri e (forse) sempre. Difatti Bosch arriva quasi a sospettare che le fondamenta invisibili della città moderna consistano  nelle ossa di povere vittime. L’incontro con una poliziotta che interpreta la vita sempre sul filo del rasoio e con il medico legale che gli rammenta la sete di infinito che è in ogni uomo, danno come una nuova luce alla disperazione che sembra intessere la narrazione. “Io ce l’ho la fede, e ho anche una missione. Credo fermamente che niente capiti per caso. Che quelle ossa siano sbucate dal terreno per una ragione precisa. Erano un messaggio per me, una richiesta di intervento.” Queste le parole di Harry (così lo chiamano gli amici) che chiudendo l’inchiesta anticipano le dolorose scelte del domani.

Pesce Palla