La cultura del dono: arte perduta?

La cultura del dono: arte perduta?
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L’Epifania è, secondo me, la festa del Dono. I magi portano dei doni al Bambino e rendono omaggio a Maria e Giuseppe, che rimangono muti, stupiti e meravigliati dinanzi all’imprevisto e all’inatteso. Ogni dono, ogni incontro inaspettato genera stupore.  

«Gli uomini disapprendono l’arte del dono. Nel suo esercizio organizzato l’impulso umano non ha più il minimo posto. Anzi la donazione è necessariamente congiunta all’umiliazione, attraverso la distribuzione, il calcolo esatto dei bisogni, in cui il beneficiato viene trattato come oggetto», così  scriveva Adorno (filosofo della Scuola di Francoforte) nel suo Minima moralia. (Un altro filosofo da leggere sulla ‘donazione’ è Jean-Luc Marion, cattolico francese vivente). 

Ma anche il dono privato è diventato routine, una sorta di impegno sociale da assolvere nel quadro del mantenimento di “buoni rapporti” al quale si destinano una quota del proprio bilancio e il minimo tempo e fatica possibili. Un tempo, quando tutti eravamo più poveri, e donare significava privarsi di qualcosa a favore di un altro, si era felici nell’immaginare la felicità del destinatario del dono.

Occorreva impiegare tempo per scegliere il dono, pensare all’altro come persona, agli eventuali desideri, magari espressi sottovoce mesi prima. Era un modo di partecipare alla vita dell’altro, di condividere i gusti, i successi, le attese. Era un modo per comunicare, per lanciare un messaggio di stima, di affetto o di attenzione.

Il dono restava. Veniva, anche gelosamente, conservato poiché rappresentava la memoria, il ricordo dell’occasione e del donatore. Tutto questo si è perso, smarrito nella grande massa degli articoli da regalo, pronti all’uso e all’occasione, tutti uguali a se stessi, vetrina del dono di massa, senza personalità e senza pretese se non quella dell’esercizio di un “dovere”: poteva essere quel dono o un altro e sarebbe stata la stessa cosa.

Quella del dono, dell’arte del dono perduta, come diceva Adorno, è la metafora di un mondo nel quale i rapporti umani si limitano alla semplice conoscenza superficiale che non impegna, non coinvolge. Un mondo nel quale si intessono relazioni e rapporti funzionali al conseguimento di un risultato, che si esauriscono così come si consuma il rapporto tra venditore ed acquirente al momento dell’acquisto. Le relazioni come merce da vendere o nel migliore dei casi da scambiare.

Un altro indicatore della caduta della cultura del dono è costituito dalla diffidenza ovvero dalla mancanza di fiducia: nessuno si fida più di nessuno.

Ognuno si rinserra nel suo piccolo mondo, nel proprio privato e finisce col disinteressarsi di ciò che lo circonda e che non interagisce direttamente con i suoi interessi e i suoi bisogni.

E allora le grandi questioni, i grandi problemi che affliggono l’umanità, la fame, la povertà, il dolore, la sofferenza diventano brevi e lontane rappresentazioni televisive tra uno spot e una sfilata di moda nei nostri telegiornali e ci sentiamo rassicurati dalla distanza e poi, chissà cosa c’è dietro queste tristi rappresentazioni e a quali logiche politiche o economiche rispondono.

L’utilitarismo e l’edonismo tendono a sostituire le tradizionali etiche politiche e religiose aprendo nuovi fronti di disagio e la faticosa ricerca di una nuova identità personale e sociale.

Moscardino