La genialità di un gesto

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La genialità della tradizione cristiana è quella di esprimersi in gesti. Gesti, cioè dal latino gerere, portare, quindi i gesti sono azioni che portano un significato. Nel gesto dunque il senso si capisce facendo, agendo, guardando, immedesimandosi.
Ieri sono stato a un Presepio vivente e mi ha colpito questa genialità tutta popolare della tradizione cristiana. Il Presepio, prima di diventare quello statico che ancora oggi facciamo in casa, è nato storicamente nel 1223 a Greggio (Umbria), per un’idea di San Francesco. Tommaso da Celano, suo biografo, nel racconto del Presepio di Greggio, dice che Francesco, soprattutto dopo aver visto i luoghi di Nostro Signore in Terra Santa, pensava continuamente alla vita di Gesù e soprattutto «all’umiltà dell’Incarnazione e alla carità della Passione» (“Vita prima di San Francesco d’Assisi”, capitolo XXX). Così, coinvolto un nobile locale, fece la prima rappresentazione viva del Natale: una capanna, del fieno, un bue, un asino e tre figure umane.
Nel Presepio vivente si capisce innanzitutto che la memoria è una cosa viva e non un ricordo. Viva come il bambino di pochi mesi che ieri faceva Gesù bambino, e piangeva, dormiva, si faceva cullare nelle braccia di chi lo teneva. Viva come chi faceva la Madonna, una ragazzina di 14 anni, cioè delle medie, con un volto radioso per la grandezza affascinante e misteriosa del compito che gli era stato affidato. Viva come i pastori nella loro povertà, coperti di stoffe e curvi davanti al fuoco per scaldarsi dal gelo della notte, e viva come i Re Magi nella loro ricchezza, che camminano, camminano e camminano, per seguire una promessa, e si inchinano quando trovano il Bambino.
E poi nel Presepio vivente si capisce qual è il vero aspetto sconvolgente del Natale: la quotidianità tutta prosaica della venuta di Gesù. Dio che non ci vuole lasciare da soli, ed allora entra Lui nella nostra storia, nella nostra vita, nel tempo e nello spazio, nella carne, nelle fatiche. Egli diventa tutto questo. Ieri, al passo del Vangelo che recitava «E diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia», sul prato alla periferia della città sul quale si svolgeva il nostro Presepio, si è creato il silenzio, e il neonato che faceva Gesù Bambino ha cominciato a piangere, quasi a gridare. Così la ragazzina che faceva la Madonna, in una dolcezza un po’ preoccupata, si è dovuta alzare, prenderlo in braccio, cullarlo, baciarlo, calmarlo. Di fronte a tutti noi, che la guardavamo, come i pastori 2000 anni fa. È questo quello che è accaduto nella storia, tale e quale. Il vagito di un bambino che è Dio, che non ha voluto lasciare l’uomo solo nel suo pianto. Come dice questa canzone sevigliana cinquecentesca:

Gesù Bambino, ferito d’amore,
così presto, appena nato
ti innamorasti di noi
piangendo d’amore?

In questa veste mortale
Ci hai insegnato come amare veramente,
così, pur essendo figlio della gioia,
la cambiasti con il pianto.

Il sorriso ci hai donato,
il pianto lo hai accettato,
quando, appena nascesti,
già piangevi d’amore.

Salmon Blues