La domenica vado a messa in una chiesa dedicata al Beato Allamano, uno dei numerosi santi “sociali” della
Torino ottocentesca. Suo zio (che famiglia!) era san Giuseppe Cafasso, altro baluardo della città. Il beato
Allamano era profondamente legato alla patrona di Torino, la Consolata, e davanti a Lei ha formulato la
promessa di fondare un ordine di missionari, i Missionari della Consolata, che oggi sono un po’ in tutti i
continenti, ma principalmente in Africa, dove molti di loro hanno dato la vita fino al martirio. Non sapevo
nulla di quest’ordine e non conoscevo neppure l’Allamano, al quale peraltro è dedicato un lunghissimo e
trafficatissimo corso torinese.
Durante la messa, in questi tempi di pandemia, ho preso l’abitudine di andare a sedermi non tra i banchi
della chiesa, ma nella cappella che c’è sul fondo… inizialmente per “distanziamento sociale”. Questa
cappella conserva le reliquie e gli oggetti del beato, ma non solo. Innanzitutto ho scoperto che tra questi
Missionari ci sono anche altre due beate: una, Irene Stefani, “animata dalla carità spinta fino all’eroismo”,
ha assistito un malato di peste ammalandosi lei stessa; l’altra, suor Leonella Sgorbati, è stata uccisa dagli
estremisti islamici in odio alla sua fede. E poi di fianco al pannello che racconta brevemente le loro vite, ce
n’è un altro, con le facce – 15 per l’esattezza – di coloro che sono stati uccisi in missione dagli anni 40 del
900 fino ai primi anni del 2000. Così io me ne sto lì la domenica, a guardare i loro volti (contemplate ogni
giorno il volto dei santi, chi lo diceva?) e sono misteriosamente in pace.
Ma il bello non finisce qui. Su un’altra parete giganteggia una foto in bianco e nero, racchiusa all’interno di
due pannelli speculari, alla base dei quali c’è una specie di altare di legno. Inizialmente pensavo che si
trattasse di un altro missionario, il padre generale, il capo dei missionari, viste le dimensioni della foto! E
poi un giorno mi sono soffermata a leggere la didascalia in lettere dorate… e mi sono commossa.
Quest’uomo, tale Giacomo Camisassa, che domina su tutti in questa cappellina, quest’uomo è lì perché è
stato il migliore amico del Beato Allamano. È lì “solo” perché è stato il suo amico di una vita intera, vissero
insieme per 49 anni “condividendo ideali, preoccupazioni, iniziative e tutto ciò è stato possibile – disse
l’Allamano – perché ci siamo sempre amati in Dio, perciò non dimenticate quest’uomo”. A me questo ha
fatto impazzire! Non solo perché Dio ci dà questa grande consolazione che è l’amicizia, non solo perché la
preferenza vissuta con fedeltà fa fare grandi cose, ma anche perché quest’uomo non ha fatto nessun
miracolo, nella sua vita ha fatto quello che doveva fare, e tutta la sua grandezza sta nell’essere stato amico,
nel senso più nobile che esista: compagno fedele al destino dell’altro.
E comunque l’ho sempre pensato anch’io dei miei amici che sono dei grandi già solo perché stanno con
me… che non sono una santa.
Pesce Volante