L’assassinio di Roger Ackroyd

La rilettura, a oltre 30 anni dalla primitiva scoperta, del romanzo del 1926 della Christie mi ha riproposto un’autrice da me quasi dimenticata, ma che era stata il mio primo approccio al mondo della letteratura poliziesca. La vicenda è ambientata nella campagna inglese, così definita da Orwell: “il più bel paesaggio del mondo… tutto dormiente, del profondo sonno dell’Inghilterra. E’ difficile quando la si attraversa credere che qualcosa stia succedendo nel mondo.”

Stranamente il resoconto dell’inchiesta non è affidato né a Poirot, ne al fido Hasting, ma il narratore è il dottor Sheppard, medico del villaggio. Come in ogni romanzo giallo che si rispetti tutti hanno qualcosa da nascondere e Poirot, facendo funzionare le sue cellule grigie, svela i segreti di ognuno.

La Christie dissemina nel testo tantissimi indizi, che brillano come indicazioni per il lettore; quasi una sfida, o una gara, a indovinare il colpevole partendo dai dati offerti.

Interessante la considerazione dell’autrice su una differenza fondamentale tra i due sessi nell’impatto con la realtà. “La donna ha sempre un grande desiderio di dire la verità. Quanti mariti hanno ingannato la moglie, e hanno portato il loro segreto nella tomba. Le donne, invece portate alla disperazione, in un momento di abbandono, di cui più tardi si pentiranno amaramente, dimenticano qualsiasi prudenza, e gridano forte quella verità che sull’istante dà un gran sollievo. Un uomo lo si può spremere finché si vuole, ma con una donna bisogna andare cauti.”

Pesce Palla