L’autoritarismo dei giudici dietro alla maschera del “miglior interesse del fanciullo”: Charlie Gard

Ieri, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai genitori di Charlie Gard per il mantenimento della respirazione artificiale nei confronti del figlio Charlie. I giudici della Corte europea hanno dato ragione ai giudici inglesi dichiarando il ricorso presentato di fronte alla Corte europea inammissibile e confermando la piena competenza delle Corti inglesi a decidere sul caso in questione (http://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=home).

L’affidamento riposto dai genitori di Charlie nei giudici di Strasburgo non sembra esser stato, purtroppo, oggetto di approfondita considerazione, ma la vicenda di Charlie e dei suoi genitori è complessa e non può essere liquidata con superficialità, in quanto vi sono conseguenze a livello concettuale, valoriale e legale molto pesanti.

Charlie ha 10 mesi, soffre di una malattia ereditaria rara e senza il supporto di un ventilatore meccanico non può, per ora, nutrirsi né respirare. I genitori di Charlie hanno trovato un trattamento medico sperimentale negli USA che potrebbe migliorare le condizioni di Charlie, ma i medici dell’ospedale si oppongono sia al mantenimento della ventilazione artificiale sia al trasferimento di Charlie per terapia sperimentale altrove, considerando tali scelte nel “miglior interesse del fanciullo”. Il giudice inglese (primo grado e appello) dà ragione ai medici (https://www.judiciary.gov.uk/wp-content/uploads/2017/05/gosh-v-yates-and-gard-20170411-1.pdf). È bene sapere che in Inghilterra esiste una legge (da noi non ancora, ma attenzione, se passa il disegno di legge sul testamento biologico sarà lo stesso anche in Italia) che vieta l’accanimento terapeutico. Ma, e qui si nota la prima gravissima forzatura, l’accanimento terapeutico non c’entra davvero. Bisognerebbe dimostrare la presenza di una serie di elementi (l’inefficacia in relazione all’obiettivo, il rischio elevato per il paziente, sofferenza sproporzionata) che non risultano adeguatamente provati nella sentenza; oltre al fatto che bisognerebbe spiegare come un trattamento che consente la vita (“life support”, lo troverete scritto in tutti i giornali di questi giorni) possa di per sé costituire una forma di “accanimento”. Non si discute qui della legittima facoltà del paziente di rinunziare alle cure quando queste si sostanzino in pratiche di “accanimento terapeutico” (facoltà ammessa tra l’altro anche dalla Chiesa cattolica); quel che però non è tollerabile è che questo diventi una imposizione di legge col rischio evidente di un’applicazione arbitraria e autoritaria che permette di fare rientrare nell’accanimento terapeutico qualcosa che non lo è neppure lontanamente. In questo senso, lascia ancora più straniti il fatto che la richiesta di interruzione della ventilazione non provenga dai genitori di Charlie, ma dai medici, i quali chiedono al giudice di riconoscere la legittima sospensione del trattamento contro la libera e “autonoma” iniziativa dei genitori volta a fare il tutto per tutto per dare a loro figlio una possibilità “che si merita”. Lascia perplessi pensare che i genitori siano meno adatti di un estraneo nel provare a voler bene al proprio figlio. Se i genitori non sono attendibili nell’individuare quale sia il miglior interesse del figlio, in base a cosa lo è un estraneo? Chi riempie di contenuto questa inquietante nozione di “best interest”? Sembra che possa farlo un giudice estraneo alla vita di Charlie e dei suoi genitori perché presume che il nuovo trattamento lo faccia soffrire di più. Applicando la legge si decide che si tratta di accanimento terapeutico: meglio togliere la vita che accettare che il trasferimento dia luogo ad una speranza di vita. Si è giunti a decidere sulla base di nozioni vuote e slegate da un significato concreto e reale, facendo ragionamenti a prescindere dall’evidente.

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