Le gemme e il guazzabuglio

Uscendo da lavoro, tutti i giorni scendo nel parcheggio e mi imbatto, con più o meno attenzione, in un alberello, ultimamente spoglio per gli ovvi avvicendamenti stagionali. Nelle scorse settimane, passando (più o meno distrattamente), ho notato che sui rami erano spuntate tante piccole gemme, promessa di primavera. E sorridevo, pensando che erano le otto di sera e potevo godere ancora del sole. Mi è balenata allora in testa un’immagine, covata da qualche parte per qualche tempo, di un libro letto poco tempo fa. G. Simenon scrive del signor Renè Maugras, affermato direttore di giornale, che si ritrova in un letto d’ospedale colpito da un ictus. “Le campane di Bicêtre” racconta i giorni di degenza in ospedale, le cure delle infermiere, le visite dei medici, la vita regolare di un reparto di neurologia, viste dagli occhi di un paziente; racconta le reazioni e i pensieri di un uomo che, fino alla sera prima, era il grande direttore del giornale più importante di Parigi e che si ritrova in un letto con una metà del corpo mezza morta. Dopo giorni di riabilitazione, Renè si accorge di alcuni dettagli: “Nelle ultime settimane il tempo è stato eccezionalmente bello. Per la prima volta in vita sua ha visto le gemme gonfiarsi sugli alberi del cortile… quando, in quale momento si perde la percezione degli odori, dei suoni, delle gemme che si schiudono?”.
Qualche giorno fa, scendevo nel parcheggio con una collega ed ho esclamato: “Toh, si sono aperte le gemme! Che belle!”, cominciavano a far capolino le prime foglie. La mia collega ha sorriso, un po’ stranita di questo mio slancio bucolico (che non è proprio tipico della mia persona!), e mi ha fatto eco: “Si, che belle!”.
Tornando a Renè, mi sono chiesta: quando si perde, nella routine di tutti i giorni, la percezione delle gemme che si schiudono? Di dettagli così piccoli e semplici della vita? O meglio: quando si riprende questa percezione delle gemme che si schiudono sugli alberi? Dei tramonti sul Gran Sasso? Della bellezza di un’amicizia semplice? O del fatto che io, ora, ci sono? Cosa fa ripartire in me questo barlume di coscienza?
È un modo concreto, che può essere così concreto e reale come la telefonata con un amico, fosse anche dall’altra parte del mondo. Per cui io riprendo la coscienza che sono voluta e amata, così come sono. Pensata, voluta e amata così come sono. Mi ha sorpreso in un baleno pensare che quelle gemme sull’albero del parcheggio si formano e si schiudono, pensate e volute senza che io me ne accorga, per la maggior parte dei giorni che passo lì. Pensate e volute come i tramonti di questi giorni. Pensate e scelte come le persone che incontro nelle mie giornate di lavoro, drammatiche e dense. Pensate e amate come i miei amici, come me e come il guazzabuglio che è il mio cuore. Pensate, scelte e amate da Uno che mi promette che nulla, davvero nulla andrà perduto, e che mi pensa e mi ama al punto che (come ricordiamo in questi giorni) ha realmente dato la vita per me.

Donzella