Il filosofo Remo Bodei dice che Leopardi non è solo un grande poeta ma anche un grandissimo filosofo, il più importante che l’Italia abbia avuto nell’800, un filosofo che come nessun altro esprime la percezione tragica della nostra presenza nel mondo e la sensazione di sgomento dinanzi all’immensità di un universo che ci sovrasta: «Ecco allora che per Leopardi L’infinito finisce con un naufragio». La dimensione di contemplazione che spalanca l’immaginazione fu evidenziata da altri che parlano di ateismo in Leopardi: non è il Dio cristiano quello a cui il poeta guardava interrogandosi sul senso dell’esistenza in testi poetici come Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia o Il pensiero dominante. Un percorso evidenziato dai vari studiosi dei decenni scorsi e che fanno emergere un Leopardi nichilista e materialista con tutta la sua forza. Per Remo Bodei invece è sbagliato farne una sorta di Nietzsche italiano: «Leopardi è qualcosa di più», rispetto all’idea di un «Leopardi nichilista che vuole il nulla» o a quella, «diffusa nei manuali, del pessimismo cosmico». Leopardi non è né un irrazionalista né un progressista: «In una fase più tarda del suo pensiero poetante, egli vuole piuttosto completare e oltrepassare l’illuminismo interrotto dal ‘secol superbo e sciocco’ attraverso un’altra filosofia», vale a dire la poesia.
Carducci accosta Leopardi al Giobbe della Bibbia, anche Bodei si ritrova in questo giudizio critico. La condizione di infelicità dell’uomo, proclamata così spesso dal poeta, come può allora essere superata? Inevitabile il richiamo alla Ginestra e all’invito all’unione fra gli uomini per resistere al male, che provenga dalla natura o dall’uomo stesso, superando l’individualismo e la fiducia cieca nella scienza e nel progresso. Ancora una volta: posizione orientata verso il nichilismo o in qualche modo religiosa? Bodei lascia il campo aperto, preferendo indicare la strada di un umanesimo che non si arrende davanti al male e che può essere abbracciato da credenti e non credenti. E per questo richiama in più occasioni, sulla scia di Leopardi, Pascal e la sua definizione di «canna pensante», in cui consistono la dignità e la nobiltà dell’uomo.
La questione religiosa in Leopardi non è certamente chiusa, come ha rilevato anche il filosofo Antimo Negri in un suo studio. Negri ridimensiona la leggenda di un Leopardi irrimediabilmente ateo e nichilista, mentre Divo Barsotti ne parla come del «testimone più alto in Italia della crisi religiosa dell’uomo moderno»; e aggiunge: «È proprio nel dolore del mondo e nell’umiliazione dell’uomo che, nonostante tutto, Dio si fa presente nella poesia leopardiana. Non è contro Dio che si coalizzano gli uomini nel canto La ginestra, ma contro il peccato del mondo». Il suo era semmai un rifiuto del cattolicesimo per come si presentava ai suoi occhi, una presa di distanza dal formalismo e dal bigottismo della Chiesa del tempo e da quello tradizionalista di suo padre Monaldo. Conclude Barsotti: «La grandezza di Leopardi è qui. È un cristiano che non sa credere in Dio. Egli cerca un interlocutore ma non lo trova. Di fatto né l’ateo né il credente, senza arbitrarie annessioni, può dire che Leopardi abbia preso una posizione definitiva e assoluta riguardo alla fede religiosa».
Moscardino