Lettura psicanalitica della Bibbia: un libro di Massimo Recalcati (Parte 2)

Lettura psicanalitica della Bibbia: un libro di Massimo Recalcati (Parte 2)
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M. RECALCATI,  La legge della parola. Radici bibliche della psicanalisi, Einaudi, Torino 2022

Giacobbe è l’anti-Caino, perché è stato Caino, infatti ha desiderato e simbolicamente realizzato la morte di Esaù, usurpando la sua primogenitura. Ma compie un percorso, che passa dall’attraversamento di un fiume, il “fiume interno, tumultuoso e selvaggio” della sua passione narcisistica: Giacobbe infatti non ha mai accettato di essere il secondo. La notte dell’episodio della lotta, Giacobbe rimane solo, non si confronta più con l’immagine del fratello in una rivalità invidiosa e aggressiva, ma lotta con un’alterità interna, la parte “Caino” di sé. Questa lotta è caduta, crisi, un luogo profondamente anti-narcisistico che diventa luogo di trasformazione, che ha, nel testo, due esiti. Il primo è una lussazione, che si può paragonare al concetto psicanalitico di “castrazione”, che coincide con l’esperienza del “non tutto è possibile”, della caduta dell’attaccamento all’immagine narcisistica di noi stessi: tutto questo in realtà si rivela un guadagno, perché porta una maggiore libertà e vitalità del desiderio. Il secondo esito è l’evento della “nominazione”. Da una parte Giacobbe si chiamerà “Israele”, perciò passa da pensiero dell’io al pensiero del collettivo, di una alleanza possibile. Dall’altra è importante l’evento in sé della “nominazione”, che significa per Giacobbe uscire dall’indifferenziazione con il fratello, che era cominciata già nel grembo materno, attraverso una separazione. “Dove c’è opera di Dio, c’è il taglio”. Quando “Israele” esce dalla tenda zoppicando, può incontrare il fratello Esaù, e può dire “io sto alla tua presenza come davanti a Dio”. Il fratello, dunque diventa il luogo più radicale del prossimo in quanto degno di amore: l’ombra di Caino è vinta.

Il rapporto dell’uomo con Dio resta problematico, il racconto biblico non nasconde la tensione. Al contrario, come farà la psicoanalisi, la rivela. 

 

Il grido di Giobbe, a metà tra blasfemia e preghiera, reclama una spiegazione da Dio per la sofferenza ingiusta. Anch’egli non è una figura della rassegnazione, della pazienza, ma della lotta. In termini psicoanalitici, la sua vicenda attesta che, se la sofferenza umana è ineliminabile, attraverso il sintomo la si può interpretare, tradurre, decifrare. 

Il male che si accanisce contro Giobbe non può piú essere concepito come una punizione, poiché egli non ha commesso alcun delitto; non può piú essere una vendetta, poiché egli non ha colpito nessuno. Nel trovarsi esposto alla violenza insensata della sofferenza Giobbe si trova immerso in una esperienza intraducibile. Resta solo il grido rivolto a Dio come il modo piú radicale della domanda. La stessa che egli porta nell’etimo del suo nome: Giobbe significa nella lingua ebraica «dov’è il padre?», domanda che sovrasta ogni possibile risposta. «Il dolore di Giobbe – scrive Recalcati – non può essere ricondotto all’ordine del senso perché nessuna teologia, come nessuna altra forma di sapere, è in grado di spiegarne l’eccesso». Il grido di Giobbe accade quando le parole sono costrette al silenzio, spezzate dal trauma del male. Esso non è indice di rassegnazione ma di lotta e di resistenza.

 

Il libro sapienziale di Qohelet spinge al culmine la consapevolezza dell’inaggirabilità della morte e dunque della vanità della vita. Il suo eterno oscillare tra splendore e polvere. Ma invita, proprio perciò, a godere di quanto si ha, non nell’attesa, ma ora, adesso.

Per questo Recalcati collega Qohelet al Cantico dei cantici. In questo esplode la gioia dell’amore, la festa degli amanti, che, però, non infrange la legge del desiderio, non s’inscrive nella logica del godimento assoluto, anzi lo dichiara impossibile. Impossibile è la fusione in Uno di coloro che restano Due, differenziando la disponibilità femminile dal sogno di possesso maschile. La Bibbia rivela la problematicità, ma anche la necessità, del rapporto. Come insegna il racconto paradossale di Giona, il più umano dei profeti, è difficile rispondere alla chiamata di Dio, ma tale difficoltà custodisce il mistero dell’esistenza.

Moscardino