L’io, il potere e la menzogna

Brevi considerazioni su un libro appena uscito.

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Carlo Betocchi scriveva: “Ciò che occorre è un uomo/ non occorre la saggezza,/ ciò che occorre è un uomo/ in spirito e verità;/ non un paese, non le cose/ ciò che occorre è un uomo/ un passo sicuro e tanto salda/ la mano che porge, che tutti/ possano afferrarla e camminare/ liberi e salvarsi”.
E’ la stessa considerazione che, con una venatura molto più triste, quasi rassegnata, emerge dalle note pagine di Solzenicjin, in cui si racconta di una conferenza del partito comunista in un piccolo villaggio della regione di Mosca, in cui ogniqualvolta viene pronunciato il nome di Stalin tutti i presenti si alzano in piedi ad applaudire per qualche istante, fin quando, all’ultimo applauso, nessuno trova il coraggio di smettere per primo di applaudire, e l’applauso va avanti così, in una scena surreale, finché… “all’undicesimo minu­to il direttore della cartiera assume un’aria indaffarata e si siede al suo posto al tavolo della presidenza. Oh miracolo! dov’è andato a finire il generale indescrivibile irrefre­nabile entusiasmo? Tutti in una volta, con l’ultimo battito di mani, cessano e si mettono a sedere. So­no salvi! Lo scoiattolo ha saputo schizzare fuori dalla gabbia con la ruota che gira! Tuttavia proprio così si riconoscono gli uomini indipendenti. Proprio così si tolgono di mezzo. La stessa notte il direttore della cartiera è ar­restato. Gli appioppano senza diffi­coltà, per tutt’altro motivo, dieci an­ni. Ma dopo la firma dell’art. 206 (del protocollo conclusivo dell’istruttoria) il giudice gli rammenta: «E non smetta mai per primo di ap­plaudire!» (E come fare altrimenti? Quando fermarsi?…) E’ questa la selezione secondo Darwin. E’ questo il logorio otte­nuto a forza di stupidità.”
Perché – ed è questo il punto interessante della questione – è proprio l’uomo, un piccolo, semplice, misero uomo così a far così paura al potere. Ed è un piccolo uomo così che il potere non può sopportare, che deve assolutamente schiacciare, per cui contro di lui scatena tutte le proprie armi.
Nelle due tragedie di Giovanni Maddalena – I Sicofanti e Irene – appena uscite per i tipi della Marietti (www.ibs.it) il rapporto irriducibile tra l’uomo e il potere è delineato con lucidità in tutta la sua drammaticità, fino a giungere – volutamente – ad esiti tragici.
Il potere mette in campo la più temibile delle sue armi, la menzogna, e con essa muove il suo assalto contro l’uomo. I più deboli cedono per primi, ma la sorte dei più forti è, per l’appunto, più tragica: sono più consapevoli degli altri di ciò che sta accadendo, e contro di essi si accanisce la violenza del potere, fino al punto in cui anch’essi cedono alla menzogna ordita contro di loro.
L’epilogo tragico lascia l’amaro in bocca e suscita molti interrogativi: quello che maggiormente mi ha accompagnato per giorni, dopo aver terminato la lettura, si può riassumere così: davvero, come sembra intendere il poeta Milosz, l’uomo è destinato ad essere schiacciato dalla menzogna e dalla violenza del potere (“Si è riusciti a far capire all’uomo che se vive è solo per grazia dei potenti. Pensi dunque a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle. Chi ama la res publica avrà la mano mozzata”), oppure, come affermava – ad esempio – il presidente Kennedy (“Noi crediamo infatti che la verità sia più forte dell’errore e che la libertà sia più duratura della coercizione”) un uomo che afferma la verità può, seppur da solo, vincere la sua guerra contro il potere?
Forse una vita può non bastare a trovare la risposta, ma per lo meno una vita impegnata in questa lotta sarà una vita ben spesa, come dice in un dialogo Ray, il protagonista de I Sicofanti:

PHIL Eri il professore più amato e temuto perché chiamavi le cose per nome. Quanta paura quando dicevi: «la verità è che Lei non è fatto per studiare». E poi imprevedibile, come quella volta che hai sorpreso uno studente addormentato dopo una notte di baldoria, hai guardato tutti e hai detto: «Lasciatelo dormire; quanti di voi sono svegli solo apparentemente?». Non si sapeva mai dove girarsi.
RAY Volevo solo che ragionaste sui fatti e non sulle vostre immagini mentali.
MONIQUE Le immagini e i sogni alle volte riposano.
RAY Che scopo avrebbe però la vita?
CHAR Ecco, ci siamo Phil. Mio padre allo stato puro: che senso ha questo e quell’altro. (Ridendo) E’ sempre stata una vita difficile.
PHIL Una vita interessante.
RAY (Battendo il pugno sul tavolo): Esatto, figlio mio: una vita interessante oppure – più semplicemente – una vita.

Buona lettura!

Pescespada

3 Risposte a “L’io, il potere e la menzogna”

  1. E se invece ….
    “Adesso sono in mezzo ai vivi come il ramo nudo il cui secco rumore fa paura al vento della sera. Ma il mio cuore è gioioso come il nido che ricorda e come la terra che spera sotto la neve. Perché so che tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che (il Cielo ne sia lodato!) non è la nostra”.
    (O. V. Milosz, Miguel Mañara)
    Forse la Misericordia ha altre … strade!

    1. E se invece… togliessimo l’invece?
      Visto che la sapienza (il Cielo ne sia lodato!) non è la nostra, mi pare un po’ azzardato cercare di interpretarla… Comunque, se ho capito bene il senso del criptico commento, il problema sta proprio in quell’ “invece” iniziale, che oppone – sempre se ho capito bene – l’uomo che lotta per affermare la verità con quello che accetta ciò che gli è assegnato da una sapienza misericordiosa che non è la nostra.
      Ora, chiedo a pesce fuori dal barile: i martiri cristiani, tanto per fare un esempio, sia quelli dei primi secoli che quelli più recenti, come, per citare un nome noto a tutti, San Tommaso Moro, li inseriresti tra coloro che hanno lottato per affermare la verità o tra coloro che hanno accettato ciò che era assegnato loro da una sapienza che non era la loro? Posta in questi termini, la domanda non ha risposta, ed è per questo che mi stride un po’ quell'”invece” iniziale, perché mi pare che, restando all’esempio dei martiri, chi ha accettato di dare la vita lo ha fatto proprio perché non si è tirato indietro di fronte all’affermazione del vero, PROPRIO IN QUANTO (e non “invece”) certo di quella sapienza piena di Misericordia presente nella sua vita.
      Non opponiamo ciò che è insieme dall’origine. Anche perché altrimenti, seppur senza volerlo, a volte, rischiamo di ricercare come ideale di vita un’apatia che non ha più molto di cristiano, e che peraltro, non sarebbe sicuramente piaciuta neppure a Miguel Manara. Cordialmente. Pescespada

  2. Nessuna rassegnazione, solo una coscienza della necessità che comunque il mio quotidiano, come quello di chiunque altro, abbia bisogno di uno sguardo misericordioso, poiché:
    “Nudo uscii dal grembo di mia madre,
    e nudo vi ritornerò.
    Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
    sia benedetto il nome del Signore”! (Giobbe 1,21)

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