Lui si chiamava Abdou Jallow

Lui si chiamava Abdou Jallow, senegalese, 28 anni, due figlie, uno fra i tanti che ha attraversato il mare ed è arrivato nei nostri paesi a cercare la vita ma – per dirla con Guccini  –  “vi ha incontrato la morte“. Un anno fa il 6 aprile Abdou moriva in uno dei nostri ospedali per una malattia tropicale che si era portato dietro dall’Africa senza saperlo.

Era un ragazzo forte, bellissimo, con uno sguardo gentile e profondo, amava la musica ed era un rapper. Provo a immaginare il cumulo di speranze con cui si svegliava al mattino e che prendevano sempre il sopravvento sulla nostalgia che provava quando pensava alle sue figlie, ai suoi cari, alla sua terra. Finché la malattia aveva bussato alla sua porta e lui aveva incominciato a capire che non ce l’avrebbe fatta.

“….Vorrei sapere a cosa è servito – sempre Guccini – vivere, amare, soffrire, spendere tutti i tuoi giorni passati se presto hai dovuto partire” la Libia, le sofferenze, la solitudine… Che Presenza Potente si deve incontrare nella vita per affermare che tutto ha un senso e che niente, neanche un respiro andrà perduto. Solo con Gesù, Dio fatto uomo, si può. Lui ce lo ha detto: “nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Lo so, tanti vivono la stessa esperienza, ma c’è anche lui.

Ora Abdou riposa nel cimitero di Termoli, anonimo sotto la nuda terra, a ridosso del muretto di cinta e guarda il mare da cui è venuto. Non c’è un minimo segno che ne indichi la presenza. Di tanto in tanto ci vado e mi fermo qualche istante a pregare. Lì mi appare più facile cogliere quella verità che nel quotidiano mi dimentico e cioè che sono un “nulla” su cui Dio si è chinato, un nulla amato da sempre e per sempre.

La vita di Abdou in Italia è stata breve, ha potuto parlare a pochi, ma, se anche voi, passando di là, vi fermate un attimo a pensare, al di là di ogni retorica, forse ha qualcosa da dire anche a voi.

Lumaca di mare