Ma tu… a chi appartieni?

Immaginate di essere uno dei chitarristi più bravi in circolazione. Immaginate di aver suonato con i più grandi della musica (ad esempio B.B. King, Eric Clapton e i Rolling Stones per citarne alcuni), di aver avuto relazioni con donne bellissime (Katy Perry, Jessica Simpson e Jennifer Aniston ad esempio… e che esempi!) e perfino di aver suonato una Stratocaster all’anteprima mondiale di GaragBand, applicazione della Apple, su richiesta di Steve Jobs in persona. Se riuscite ad immaginare tutto questo, forse capirete come il mondo guarda John Mayer, chitarrista americano trentacinquenne.
Ora, se avete un altro pizzico di immaginazione, pensate al sottoscritto che, tra un caffè ed una sigaretta, gli capita di ascoltare una delle stupende canzoni di Mayer: “Dear Marie”. La canzone è così bella musicalmente che non si può prescindere dal testo! Ho cercato la traduzione. “Ti ricordi di me? Sono il ragazzo che amavi quando avevi 15 anni. Ora mi chiedo cosa pensi quando mi vedi su una rivista. Di tanto in tanto cerco le tue foto su internet”. È bellissimo come “il Johnny Depp” della musica (così è soprannominato) si ricordi, su questo sottofondo dolce, di una donna che era innamorata di lui a quindici anni. Ma la svolta sconcertante è alla fine della canzone quando, per diverse volte, proprio per sottolineare l’importanza di questa sorta di nostalgia, Mayer scrive:” io ho il mio sogno, ma tu hai una famiglia”. Tu hai una famiglia, qualcosa di reale, un’appartenenza e un punto a cui tornare, mentre io ho ancora “quel sogno”, ho qualcosa che deve ancora realizzarsi (secondo un mio progetto). In fondo neanche lo stereotipo del “chitarrista figo e realizzato” a lui basta. È come se niente bastasse! Neanche l’amore, visto che “per natura” le cose cambiano!
Eppure una delle domande più belle che un mio amico mi pose in un periodo difficile per la mia vita fu: “ma tu… a chi appartieni?”. I puntini sospensivi rappresentano quel secondi di silenzio che mi hanno fatto capire la portata della questione: “a chi appartieni?”. A questa domanda non c’è stereotipo che tenga. Penso ai miei pazienti (“miei” perché mi sono stati affidati) che stanno per morire, che hanno di fronte il dramma della vita più di chiunque altro. Questa domanda e poi questa canzone carica di una ricerca di senso della vita, scoperta per caso tra un caffè e una sigaretta, mi ha ridestato: non sono l’unico ad avere il desidero di appartenere a qualcosa di vero e che sia concretamente un punto a cui tornare sempre (infatti sei John Mayer, il chitarrista realizzato, il play boy che è stato fidanzato con le più famose e belle… come puoi logicamente scrivere “io ho il mio sogno, ma tu hai una famiglia”, celando una malinconia?).
Anch’io pensavo personalmente di appartenere ad una donna, ma alla fine questo “poggiarmi” totalmente a lei non ha retto di fronte alle difficoltà della vita (dallo studio al paziente che sta per morire e che ti fa domandare qual è il senso della vita).  Io non bastavo a lei allo stesso modo di come lei non bastava a me!
Il tempo ci dirà se è vero e concreto quel punto a cui tornare. Io appartengo a chi mi fa comprendere meglio cosa sono e cosa desidero, che ho un desiderio infinito nel cuore che nulla – apparentemente – può colmare!
“Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti” affermava Caligola in uno dagli scritti di Albert Camus.
Tutti abbiamo insito in noi il bisogno di appartenere, così come tutti non possiamo scappare da una domanda tanto drammatica: “ma tu… a chi appartieni?”.

Slash Fish