MOSÈ – GOLEMAZ – MOUSTAPHA

La storia dell’umanità è piena di esodi, e tutti gli esodi hanno qualcosa in comune: «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri in cerca di una vita migliore, affamati, perseguitati, sfruttati, feriti, vittime di guerre. Cercano la felicità» (Papa Francesco).

L’esodo ebraico, con a capo Mosè, il primo scafista della storia: «Mosè è stato il primo scafista della storia, e io sono come lui, come Mosè», così Aleksandr nelle “Confessioni di un trafficante di esseri umani” (Chiarelettere, 2014) raccolte da Giampaolo Musumeci e Andrea Di Nicola.

Quello nel quale furono protagonisti i Croati (come i Golemaz) e gli Albanesi, che lasciarono le loro terre e si insediarono nel nostro Molise alla fine del 1400, «per non perire sotto la spada dell’Impero Ottomano o essere condotti in loro misera schiavitù» (Mons. Francesco Lauria, Vescovo di Guardialfiera – 1777).

Quello delle popolazioni meridionali verso il Nord Italia o l’estero, et cetera, et cetera.

Anche se l’esodo odierno, dei migranti che lasciano l’Africa o l’Asia per venire in Europa, ha delle peculiarità proprie, resta il fatto che «Tutti vogliono venire via. Io aiuto le persone a realizzare i loro sogni», come racconta un altro scafista nel libro già citato.

Possiamo giustificare questa neanche tanto silenziosa invasione con la volontà di realizzare un sogno e il desiderio di felicità che alberga in ogni uomo?

Se è vero che vengono da situazioni molto difficili, è anche vero che il disagio economico non è una buona ragione per richiedere asilo politico ed essere considerati rifugiati, altrimenti qualche miliardo di persone potrebbe bussare alle nostre porte…

Molti di questi ragazzi (come Moustapha) provengono da Paesi dove non ci sono guerre e dove non ci sono discriminazioni o persecuzioni (Senegal, Costa d’Avorio, Gambia, Mali, sud della Nigeria, etc.).

Io non ho delle soluzioni, come penso non ce l’abbia nessuno; però ci sono alcune cose “ovvie” che non sembrano tali sentendo parlare uomini politici, intellettuali e giornalisti.

  1. Non possiamo abbandonarli e farli morire in mezzo al mare una volta che sono partiti;

  2. Non possiamo accoglierli tutti;

  3. Non possiamo paragonare questo esodo con l’emigrazione degli italiani in altre parti del mondo (per emigrare in Australia il mio babbo dovette affrontare due lunghissimi “interrogatori” con i funzionari dell’ambasciata a Roma e a Napoli; quest’ultima anche con il resto della famiglia, di cui facevano parte anche tre ragazzi non ancora adolescenti…);

  4. Non possiamo, in futuro, fidarci di miopi valutazioni come quelle dello sciocco Sarkozy e di tutti quelli che hanno appoggiato l’insensata guerra contro Gheddafi;

  5. Non possiamo esportare la democrazia sostenendo le “primavere arabe”;

  6. Non possiamo sperare di bloccare l’esodo sparando alle barche in procinto di partire dalle coste africane o arrestando gli scafisti.

Il compito è arduo, però pare che la soluzione l’abbia trovata il “tour operator” dei viaggi della morte citato dal Prof. Maddalena su Il Foglio del 27 aprile e riportato su questo blog:

  1. Stabilizzare la situazione politica in Libia e negli altri Paesi;

  2. Affrontare il problema delle minoranze interne;

  3. Sovvenzionare e addestrare la polizia locale.

Speriamo che i Capi di Stato e di Governo europei lo ascoltino.

Io aggiungerei altre due cosette:

  1. Sostenere sempre di più e meglio quelle organizzazione (come l’A.V.S.I.) che operano nei Paesi del Terzo Mondo tentando di offrire occasioni di sviluppo endogeno;

  2. Ripensare al modello di distribuzione della ricchezza sulla terra perché «C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi» (Papa Francesco – discorso per EXPO 2015).

Pesce (ner)Azzurro