Mounier e la guerra (Parte 2)

Mounier e la guerra (Parte 2)
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Riguardo alla ‘guerra giusta’ rileva Mounier: “Al di fuori dei sentieri della santità integrale, il cristiano ha il dovere di resistere alla forza con la forza. Ciò che differenzia uno Stato di ispirazione cristiana è che, ad ogni conflitto, esso cercherà dapprima di far prevalere le vie della carità, esaurirà prima tutti i mezzi che non siano mezzi di guerra. Ma può arrivare il momento in cui tali mezzi si rivelano definitivamente inefficaci, per la potenza del male o per la malizia degli uomini. Allora, e allora soltanto, contornando la decisione con numerose garanzie e precisazioni, il cattolicesimo ammette la legittimità della violenza al servizio della giustizia”. “Allora, e allora soltanto”…. non a caso qui Mounier ricorda poi “le rigorose condizioni”  che la tradizione teologica scolastica poneva per il riconoscimento di una ‘guerra giusta’.

Sono quattro. La prima: la guerra “deve essere anzitutto pubblica, dichiarata dall’autorità legittima e per quanto possibile in accordo con il popolo”. La seconda: la guerra “deve avere una causa giusta (…) inoltre il motivo della guerra non deve solo essere giusto di per sé ma deve esserlo anche in proporzione ai rischi e ai mali che la guerra può causare”. La terza: la guerra “deve essere (…) intrapresa e portata avanti con l’unico scopo della pace, e di una pace giusta”. La quarta: la guerra “è giustificata solo se risulta essere l’unico mezzo per riparare l’ingiustizia”. 

Fondamentale poi che “queste condizioni formano un tutto inscindibile: il venir meno di una sola di esse è sufficiente per tacciare la guerra di illegittimità”. Oggi, osserva Mounier, “la possibilità di una guerra giusta che risponda alla definizione scolastica è sempre più contestabile”. Ad esempio, in riferimento al primo punto, quello della dichiarazione di guerra, rileva Mounier: “La prima clausola è aggirata, oggi, da ciò che si può definire l’elusione della guerra. (…) Si attua la mobilitazione al grido di ‘La mobilitazione non è la guerra’, mentre l’informazione industrializzata prepara la ‘volontà generale’ (…); non si dichiara guerra: si compie un’operazione di polizia internazionale (…)”. 

Esclusa dal Magistero recente la possibilità di una guerra offensiva, resta quella di una guerra “ detta difensiva”. Che però non è di definizione così immediata: “Conosciamo le doppiezze che quest’etichetta può celare da quando la coscienza giuridica e l’opinione mondiale le hanno concesso il monopolio della legittimità di guerra”. Mounier cita qui un passo delle conclusioni di un gruppo di teologi riunitisi a Friburgo: a volte “si arriva a coprire col nome di guerra difensiva qualsiasi impresa di un nazionalismo esagerato, avido di conquiste e di prestigio”. 

Come dovrebbe comportarsi un cristiano davanti alla guerra? Ecco le conclusioni di Mounier. E’ chiaro che “la guerra è un flagello, in qualsiasi epoca. La guerra moderna è, insieme, un cataclisma senza proporzioni e una catastrofe spirituale totale. (…) Quindi chiunque, per sua volontà, per imprudenza o per astensione, assuma una qualsiasi responsabilità diretta nella preparazione alla guerra, si rende complice si uno dei più gravi peccati collettivi del suo tempo”. No dunque al bellicismo. Ma Mounier dice no anche a un certo tipo di pacifismo: il cristiano non ha il diritto di “comprare la pace a prezzo di un accrescimento di viltà, di un ulteriore arretramento dello spirito cristiano di fronte alle forze anticristiane. (…) In un mondo in cui certi vogliono la guerra o almeno non la escludono dai loro rimedi, rifiutare ogni azione che potrebbe comportarne il rischio significa rifiutare ogni resistenza, poiché il rischio è ovunque, salvo nell’avvilimento o nel suicidio deliberato”. Mounier condanna impietosamente (e anche ingenerosamente) questo tipo di pacifismo, forse “il più diffuso”, che si caratterizza per “la paura bruta della morte, della sofferenza e delle percosse da parte di uomini disabituati al rischio, che non hanno più ragione di vivere né ragione di morire”. E’ il pacifismo di coloro, continua, che” nel settembre del 1938 non avevano a cuore la giustizia dei Sudeti, né quella dei Cechi (…) ma avevano una sola ossessione: che non si interrompessero i loro sogni di pensionato”.

 

Moscardino