OCCUPAZIONE: sì o no?

OCCUPAZIONE: sì o no?
Corteo di studenti from YouTube

Febbraio 2022. La riscossa degli studenti?

In questi ultimi giorni di febbraio, come tutti sanno, gli studenti delle scuole d’Italia stanno manifestando in vari modi. Nella maggior parte delle scuole, la protesta ha preso la forma dell’occupazione: mattinate trascorse a dialogare su temi “cari agli studenti”, a confrontarsi, in modo più o meno organizzato, ma sempre autogestito. Talvolta con pernottamento incluso.

Tendenzialmente la decisione, se occupare o meno la scuola, è stata presa “democraticamente”, tramite sondaggio su Whatsapp: “Vuoi occupare/Non vuoi occupare”. 

Il metodo è discutibile. Anche perché forse, al di là della decisione se occupare o meno, occorrerebbe prima capire perché farlo. Le ragioni, diciamo, “nazionali” erano legate alla richiesta di maggior sicurezza durante le attività di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, ex Alternanza Scuola-Lavoro) e alla richiesta di eliminare lo svolgimento della seconda prova all’Esame di Stato. Detto questo, gli stessi ragazzi non ci hanno messo molto a capire che questi due motivi originari facevano acqua da tutte le parti: il legame logico tra l’episodio della morte di Lorenzo, impegnato in un tirocinio previsto da decenni nei percorsi di Formazione professionale, e le attività di PCTO dei Licei, in cui per lo più si seguono conferenze e si organizzano attività culturali, non sussiste. La richiesta di un esame più breve e più facile è comprensibile per uno studente di 18 anni, ma fa sorridere.

Parlando con i miei studenti, ho capito, però, che l’occupazione è stata anche l’occasione per discutere delle motivazioni della protesta stessa, oggetto dei dialoghi e dei confronti tra i ragazzi durante le mattinate trascorse insieme (utilizzando quindi il metodo al contrario…ma almeno interrogandosi sullo scopo…). Nel calderone delle lamentazioni è così finito di tutto: il disagio vissuto durante i due anni di Covid, ma allo stesso tempo la preoccupazione per la salute perché quest’anno non è più obbligatorio il distanziamento nelle aule; la sensazione di non sentirsi preparati per l’Esame di Stato e il disorientamento di fronte alla scelta post-diploma; la percezione di inutilità dei percorsi di Educazione Civica o delle attività di PCTO, e allo stesso tempo l’accusa che a scuola si fanno solo attività “noiose” di studio; l’ansia che genera l’impegno scolastico, ecc. In tutto questo ritornano continuamente due slogan: “Nessuno ascolta noi giovani” e “Non siamo contenti di venire a scuola”.

Su queste due ultime questioni, seppur espresse in modo confuso e generico, penso che il mondo degli adulti, insegnanti e genitori in primis, si debba seriamente interrogare. “La scuola deve creare le condizioni cognitive e ambientali per far sì che i ragazzi crescano e si accorgano di crescere”, diceva oggi ad un incontro interessantissimo sulla realtà educativa e il “politicamente corretto”, in occasione della seconda edizione di Politicall, organizzato dall’Associazione Vasilij Grossman di Torino, il prof. Luca Montecchi, Dirigente della scuola Don Gnocchi di Milano (QUI il video) L’accorgersi di crescere è proprio un fattore di consapevolezza che sgorga dalla percezione di “fare qualcosa di utile”; e questo vedo che spesso nei ragazzi manca. Così come manca la passione per la conoscenza, per la bellezza della conoscenza. “Ripartire dal principio estetico”, continuava sempre oggi il prof. Montecchi. E sicuramente, siccome la conoscenza è affettiva, manca la passione per la conoscenza nei ragazzi perché spesso manca negli adulti.

Eppure, se da una parte gli eventi di questi giorni sono un invito serio a riconsiderare cosa voglia dire insegnare, come farlo nel modo migliore e come riaccendere una scintilla di passione nei ragazzi, dall’altra non mi sembra educativo “coccolarli” nel rassicurante “avete ragione”. La scuola superiore italiana ha ancora, nel panorama mondiale, una dignità culturale invidiabile. Siamo tra i pochi nel mondo che fanno studiare a tutti l’epica classica e la Divina Commedia, che propongono come possibile percorso il latino e la filosofia. Che fanno studiare la storia dal mondo antico ai giorni nostri, non solo quella europea (anche se è ovviamente prevalente), ma, soprattutto negli ultimi anni, quella globale. L’invito che faccio a me e ai miei colleghi è di prendere sul serio i nostri amati allievi, sfidandoli seriamente con la ricchezza e la bellezza della nostra tradizione e con il fascino delle materie scientifiche.

In fin dei conti, dicevo ai miei allievi, quello che manca è un orizzonte di senso. Questo è il vero problema. La società di oggi propone di impegnarsi come matti per raggiungere un non ben precisato obiettivo, andando avanti senza guardare in faccia nessuno, con intorno qualche amico, nel migliore dei casi (ma tanto l’amicizia, come l’amore, prima o poi finisce o ti tradisce). In questa lotta per l’esistenza ce la fanno i ricchi o quelli più determinati; tutti quelli con qualche fragilità (numerosissimi) soccombono per la strada.

Di fronte a una tale proposta, sottesa nei discorsi, nelle canzoni, nei programmi e nelle serie tv, sfido chiunque a non sentirsi a disagio e in ansia. Ma è davvero questa l’unica possibilità? È davvero questa l’unica proposta che il mondo adulto fa ai giovani?

Non credo. Come non credo che cambiare il sistema (la PCTO, i programmi, l’Esame di Stato, ecc) sia la soluzione ultima. Certo, è importante che le leggi e le indicazioni ministeriali siano sensate e ragionate, perché una legge buona e una cattiva non hanno lo stesso valore e incidono diversamente sulla società, ma sicuramente non sono le leggi e i sistemi a riempire il cuore desideroso di protagonismo e di gusto dei nostri ragazzi.

 

Stella Marina