Pensieri sul partito della nazione

«…del Galles?! Richard… è già un cattivo affare perdere la propria anima in cambio di tutto il mondo, ma per il Galles…» Questa frase del celebre film britannico Un uomo per tutte le stagioni, nonostante sia un po’ vecchiotto (del 1966) e parli di un uomo – san Tommaso Moro – vissuto a cavaliere tra XV e XVI secolo, mi pare adeguata – anzi basterebbe da sola – per comprendere alcune vicende della politica nostrana, nel particolare la nascita del fantomatico partito della Nazione.
Le elezioni amministrative sono ormai alle porte, quasi tutti i candidati sono stati scelti e quelli che mancano stanno per esserlo. A Torino (che Il Foglio definisce “Laboratorio”) come in altre realtà più piccole si sta facendo largo un’idea affascinante: un partito che unisca tutte le forze che hanno a cuore il bene della città (vorrei sapere quale sindaco si candida dicendo: se vengo eletto brucio la città e ammazzo tutti) e che siano contrari al populismo dell’anti-politica grillina e leghista (e con la erre moscia se fosse possibile). Tuttavia, mi spiace, nonostante l’anomalia del governo Renzi (ultimo frutto di un “pareggio a tre” elettorale) il partito della Nazione non esiste. Non ci sono i presupposti storici, come guerre, costituenti, meteoriti, o altri eventi simili; né sussistono i presupposti politici, in quanto la necessità di unire tutte le forze politiche contro l’anti-politica risulta essere un’affascinante semplificazione di chi, come Ezio Mauro, si sente investito del compito di indicare al popolo cosa è giusto e cosa è sbagliato, senza tenere minimamente conto di cosa il popolo desidera e pensa (salvo poi chiedersi per vent’anni come si facesse a votare Berlusconi). Inoltre non mi pare che il principale partito old style italiano, ossia il Pd, abbia una qualche minima intenzione di far venir meno le sue proprie specificità per fondersi in qualcosa d’altro… Insomma il partito della Nazione è un auspicio di chi, certo della sconfitta e consapevole della sua propria inutilità sulla scena politica fa buon viso a cattivo gioco e si affida all’aforisma cesariano «se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico». Ma fino a che punto si può chiedere ai cattolici, liberali, repubblicani, monarchici e a tutti quelli che non trovano più una rappresentanza politica, di votare i comunisti in salsa rosa perché – in fin dei conti – lavorano bene? Inoltre come si può avere la pretesa di cambiare le cose “dal di dentro” di un’ideologia strutturata che non è la propria? Con quale autorità o autorevolezza? Il rischio è quello di sembrare un trasformista, se non opportunista, con il guaio di perdere i sostenitori di ieri senza trovare sostenitori domani.
C’è sempre spazio di costruire, oggi come ieri, anche dove sembra impossibile. Sarà più lungo, sarà più faticoso, ma non per questo una comunità cristiana e i suoi rappresentanti devono far venire meno le ragioni del proprio impegno in politica, come nella cultura. Dopo tutto anche il marchese di Posa, precettore dell’uomo più potente della terra – Carlo V – un tempo ebbe a dirgli: «Sire, non dimenticate mai gli ideali della vostra giovinezza!».

Pesce Persico