Perché questo è davvero il momento giusto per amnistia e indulto

I recenti drammatici disordini nelle carceri riportano in primo piano, in tempi di epidemia, il dibattito su indulto e amnistia. Misure eccezionali, senz’altro utili a decongestionare in via temporanea le carceri (il primo) e anche le corti di giustizia (la seconda), che ovviamente non risolverebbero – pur alleviandoli – il sovraffollamento e il sovraccarico strutturali che affliggono il sistema.
A livello pratico, è difficile dare torto a quanti auspicano un intervento del Parlamento in tal senso.
Ma oltre alle evidenti ragioni di carattere pratico, militano nella stessa direzione istanze più profonde, che interpellano la coscienza dell’intero popolo italiano, alla quale ultimamente è stato fatto più di un appello.
Indulto e amnistia poggiano su due idee profondamente umane: che la giustizia umana è un tentativo imperfetto, sempre insufficiente a rimediare al male compiuto; e che la stessa società, che con la pena punisce e rieduca chi ha sbagliato, può esprimere anche la pietà e il perdono, di cui ogni uomo ha sempre bisogno, tanto più quando ha sbagliato.
Per i cristiani, entrambe queste istanze costituiscono contenuto specifico del richiamo che la Chiesa fa in quaresima: “Mi cercano […] come un popolo che pratichi la giustizia. [Ma] non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi?” (Is., 58, 2-8).
L’emergenza epidemiologica, che tocca tutti, senza discriminazioni di razza, religione, censo e fedina penale, pone un richiamo molto simile, valido non solo per i cristiani ma per l’intero popolo italiano.
Primo, perché rende ineludibile che l’umanità non può darsi tutto ciò che desidera; e lo fa intaccando proprio i “principi non negoziabili” della società contemporanea: salute, sicurezza e libertà di movimento.
Secondo, perché, a quanti oggi si sono ritrovati prigionieri sì, ma tra le confortevoli mura di case ben riscaldate e wired, con la propria famiglia e ogni bene e servizio a disposizione, è stato difficile non pensare a chi, in pericoli simili, non gode altrettanto benessere, libertà, amore.
Dunque, in questo frangente inedito, se vogliamo valorizzare la coscienza del popolo italiano, come ha fatto giustamente il Presidente del Consiglio, non possiamo non avvertire in essa questa duplice evidenza:

  1. la nostra giustizia non basta, il popolo ha bisogno di qualcosa di più grande: generosità dei medici, spirito di sacrificio, coraggio o unità; comunque un valore che trascende l’umana giustizia del suum cuique tribuere; anzi, proprio in nome di un “bene comune” più grande si accettano piccole ingiustizie, cioè togliere a ciascuno qualcosa del suo; e non è marginale che la stessa macchina della giustizia civile e penale si sia fermata;
  2. occorre, più che mai, particolare bontà, attenzione, pietà l’uno verso l’altro, perché nessuno resti indietro e anche chi non gode una salute di ferro o un riparo confortevole possa superare l’emergenza con meno rischi e sofferenze possibili.

Nella coscienza del nostro popolo, allora, che cosa esprimerebbe meglio queste due evidenze vivissime, che non un atto di umiltà e clemenza? Un atto di umiltà perché è appunto la società intera, tramite i suoi rappresentanti, a rinunciare, pur con le ragionevoli proporzioni, alla pretesa di punire chi ha sbagliato, riconoscendo i limiti che ci accomunano come uomini. Un atto di clemenza perché non pone condizioni, ma è elargito a detenuti, imputati e indagati in virtù (è il caso di dirlo) di una semplice volontà buona; volontà, che oggi è chiaramente percepibile nella coscienza del popolo, di dare una risposta concreta di speranza a un pericolo che sovrasta tutti, e dal quale vogliamo uscire più uniti.
Ma riuscirà mai a intercettare ed esprimere queste istanze una maggioranza che, con l’abolizione della prescrizione, ha appena affermato l’esatto opposto, ossia, in soldoni, che il sistema giudiziario è infallibile e che il male commesso è incancellabile senza limiti di tempo?

Squalo martello