Perché votare NO al referendum secondo la dottrina sociale

La riforma che dobbiamo votare nel referendum abolisce un certo numero di parlamentari. Chi la sostiene seriamente (pochi, in un pasticcio di contraddizioni che solo la politica più bassa può spiegare) lo fa in nome di efficienza e risparmio. Il risparmio ammonta a qualche decina di centesimi all’anno per italiano, l’efficienza è tutta da dimostrare ma starebbe nel fatto che in pochi si lavora meglio. Si fanno al proposito gli esempi degli Stati Uniti, dove ci sono solo 100 senatori, ma non si dice mai che quello è un governo federale e che ogni stato ha già il suo parlamento. Inoltre, si dimentica che gli Stati Uniti hanno un sistema maggioritario uninominale, per cui ognuno sa chi è il “suo” senatore: del suo stato e del suo partito. Quando un senatore vota qualcosa di controverso, le sue segreterie si riempiono di messaggi di protesta e appoggio.
È proprio per salvare il fatto che ciascuno abbia rapporto con i propri rappresentanti che occorre votare NO. Diminuire il numero di parlamentari significa che alcuni territori e alcune minoranze culturali avranno vita molto più difficile nel far eleggere persone che li rappresentano. Per i cattolici, minoranza del Paese, sarà ancora più complicato il far eleggere qualcuno che li rappresenti veramente, visto che le segreterie di partito avranno meno posti a disposizione. In generale, infatti, la riforma indebolisce le minoranze, i territori e i corpi intermedi anche all’interno dei partiti. Fa parte della dottrina sociale della Chiesa il riconoscimento e l’aiuto esplicito a queste realtà intermedie che, a cominciare da quelle cattoliche ma senza fermarsi a esse, sono il cuore pulsante della società. Lasciare che esse facciano più fatica a fare eleggere un rappresentante politico di riferimento va contro un insegnamento saggio e antico che nasce dal cuore della vita della Chiesa.

Torpedine