Quali rischi siamo disposti a correre?

Le notizie di cronaca giudiziaria iniziano ad essere sempre più simili a barzellette, peccato che non ci sia niente da ridere in fondo.
Il tribunale de L’Aquila ha condannato i sette componenti della Commissione Grandi Rischi a 6 anni di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per omicidio colposo plurimo e disastro colposo in quanto, a causa delle loro rassicurazioni durante lo sciame sismico verificatosi agli inizi del 2009 nel territorio aquilano, la fatidica notte del 6 aprile perirono 29 persone ed altre 4 rimasero ferite.
Sono anche io in fervente attesa delle motivazioni, in quanto curiosa di scoprire quali perle di logica giuridica il magistrato aquilano ha riservato, dovendo spiegare:
  • dove e come questi luminari avevano dissuaso/tranquillizzato la popolazione;
  • perché a questo punto non li ha condannati per la morte di tutte e 309 le vittime del terremoto;
  • il cd. nesso di causalità, cioè quale mancanza nella condotta della commissione ha causato direttamente le morti, sperando che non sarà così ingenuo – o sfacciato – da far discendere la responsabilità degli scienziati dalla non previsione del terremoto.
Tuttavia la sentenza già dice molto.
E non solo che da ora in avanti è meglio che nessuno scienziato si invischi più nei servizi pubblici (già sono fioccate ovunque le dimissioni).
Non solo che ancora una volta questa giustizia ha lanciato l’occhio al risvolto mediatico della vicenda (“lo dovevamo a chi ha perso la vita quella notte”, anche se mi sfugge il nesso profondo sinceramente).
Invero, il giudice aquilano ha cristallizzato una verità che sotto sotto è nel cuore di ognuno: l’uomo se si impegna bene può sempre risolvere le cose.
Dall’attuazione di misure preventive di terremoti a cosa fare della mia giornata il punto è sempre questo: posso trovare la soluzione del problema, che inizia e finisce sino a dove io posso calcolarne i limiti. E se non riesce l’equazione è colpa di qualcuno.
E dove non riesco? E dove non capisco? Cosa dire quando le cose mi sfuggono, quando sono davanti al dolore o all’insoddisfazione? Mi accanisco ancora di più a prendermela con qualcuno o, nella maggiore dell’ipotesi, evito il problema. Perché a certe cose è meglio non pensarci. Certi rischi meglio non correrli, soprattutto perché le commissioni ci sono solo per i Grandi Rischi, ma quelli piccoli della mia vita sono solo affar mio, quindi meglio soprassedere.
Tuttavia ci sono lo stesso ed io non ho alcuna intenzione di vivere la mia vita facendo solo quello che posso spiegarmi e tralasciando tutto il resto. Voglio invece correre il rischio di guardare a tutto quello che mi succede, di guardare il bello e il brutto che mi accade per scoprire – che liberazione – che non decido tutto io.
Questo certamente non fa scomparire il dolore, ma è l’unica posizione interamente umana che mi apre ad una riscoperta continua dell’unico e solo Creatore, tanto da far dire (anzi cantare) alla mia amica che ha appena perso il papà: “ Com’è grande la Tua bontà”.

Ostrica