Simone. Col catetere in attesa di operazione. Si può vivere così?

Quarantacinquesima lettera inviata a tempi.it da Antonio Simone, detenuto nel carcere di San Vittore a Milano.

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E’ da giorni che le mie vicende riempiono le pagine dei giornali. Se, per caso, dovessi essere assolto dalle accuse che mi vengono rivolte, non avrei più necessità di lavorare, tanti sarebbero i soldi che potrei chiedere ai giornali in cause di diffamazione. Sul tema, a tempo debito, parlerò. Per ora, scrivo solo della violenza che esiste qui a San Vittore e nelle aule del tribunale a riguardo delle pene inflitte (irrecuperabili) dei nuovi amici.
Da più di un mese ho il catetere e sono in attesa di un’operazione. Leggo e scrivo. Ma ciò che mi fa maggiormente pensare in questo periodo è ciò che sta dentro e intorno a una frase di don Luigi Giussani che una amica, conosciuta da poco, mi ha fatto arrivare: «Che spettacolo! Se tu mancassi – tu, che il Signore mi fa trovare lungo il disegno che mi fa percorrere -, se mancassi tu, non sarebbe più felicità la mia, non sarebbe più completezza, compiutezza – “Non sapete che siete membra l’uno dell’altro?” -: come un corpo senza un membro. Però questa frase di San Paolo mi rivela l’argomento più delicato e più difficile da capire con la nostra testa: è che il Battesimo ci fa nuove creature, siamo esseri diversi, “più che”, “cento volte più che”. Perciò, nella compagnia l’immagine esatta non è l’essere insieme, ma l’essere una cosa sola, perché l’essere insieme gioca fino a un certo punto, ma l’essere una cosa sola gioca sempre». (Don Luigi Giussani, Si può (veramente?!) vivere così?, Bur Rizzoli, 1996, pagina 386).
Mi consola che, ancora oggi, quello che dice don Giussani è, con alcuni amici, la coscienza del rapporto.
(Antonio Simone)

Fonte: www.tempi.it

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