Sulla laicità

Sulla laicità
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Sul tema della cosiddetta laicità sicuramente si impone un ripensamento complessivo.

Accanto e oltre il peso delle problematiche intorno al rapporto Stato-Chiesa, oggi i temi che ineriscono alla laicità sono più numerosi e più articolati, generando non raramente una notevole discussione.

Quando lo Stato pretende di prevaricare sulla società civile, comprimendone le identità più profonde, organizzando istituti essenziali della vita collettiva in una visione secolarizzata di fatto egemonica, dimenticando il contributo che la religione e le comunità religiose recano alla solidarietà e alla promozione della persona umana, allora siamo di fronte ad una ‘laicità negativa’. È questa un’ampia riflessione sulle tensioni radicali che alcuni Paesi vivono, a causa della chiusura delle leggi e delle istituzioni alla dimensione antropologica e sociale della persona. Il tentativo di fare leggi come se la religione non esistesse si rivolge contro la concezione umanistica della nascita, del matrimonio, dell’educazione, della tutela della vita, sfiorando il destino stesso dell’uomo. Occorre ripensare dunque la delicata categoria della laicità, nella prospettiva di percorrere una strada di una pacifica convivenza in cui raccontarsi per riconoscersi diventi la regola per una vera democrazia. 

 

Relazione, reciproco riconoscimento, sono le dimensioni strutturali e costitutive della società civile, che come tali non dipendono da nessun potere superiore. Perciò esse esigono che la società civile possa accettare la libera dialettica dei suoi rapporti tra identità differenti, sia individuali, sia associate, che hanno appartenenze, tradizioni culturali, interessi materiali e ideali diversi; oggi, sempre più, anche etnìe e religioni diverse. Però tale relazione di riconoscimento può prestarsi alla promozione come alla manipolazione, alla custodia come alla cattura dell’altro. Per questo la società civile ha sempre bisogno di darsi un’istanza superiore, mai sostitutiva, ma regolativa della sua vita relazionale, del suo fisiologico pluralismo, istanza regolativa che nella modernità è lo Stato. In quanto istanza superiore, lo Stato deve essere laico, ma in che senso? Nel senso di una non identificazione con nessuna delle parti in causa, cioè dei loro interessi e delle loro identità culturali, siano esse religiose o laiche. Tuttavia, in forza della sua stessa funzione, Stato laico non è sinonimo di Stato ‘indifferente’ alle identità e alle loro culture. Soprattutto non può essere e, di fatto, non è mai indifferente ai valori della tradizione nazionale prevalente cui esso fa storicamente riferimento, come dimostrano le diverse ‘storie costituzionali’ degli Stati, né si mostra ‘neutrale’ nei confronti dei suoi valori fondanti. Tale neutralità non significa non-confessionalità; tale confusione genera un’interpretazione errata della laicità dello Stato. Una tendenza attuale purtroppo interpreta la laicità dello Stato in questi termini: se lo Stato è laico anche tutta la sua legislazione deve essere laica cioè neutrale e neutrale anche di fronte a quei valori della tradizione nazionale prevalente sui quali storicamente e culturalmente si fonda. Una tale argomentazione si fonda sul presupposto che lo Stato debba avere una legislazione neutrale, ma in effetti tale non è perché comunque si ispirerebbe a valori diversi. Lo Stato protegge il libero dibattito delle idee, dei valori e delle proposte culturali, sociali e quant’altro, ma non è indifferente al risultato del confronto democratico tra le parti, al contrario lo assume. Infine, a decidere è il popolo, con la sua storia e la sua sensibilità e le sue radici culturali, direttamente o attraverso i suoi legittimi rappresentanti nel rispetto dei diritti ma anche dei doveri sanciti dalle Costituzioni statali. In questa logica, come è giusto esigere da etnìe, tradizioni religiose o areligiose che sono minoranza, il rispetto della carta costituzionale, anche quando non è conforme al loro punto di vista, così, in base a questo sano concetto di laicità, non pare contraddittorio chiedere qualche rinuncia a una minoranza che pretenda un riconoscimento giuridico-legislativo non condiviso dalla maggioranza.

Moscardino