La Spigola si occupa ovviamente di politica, una delle dimensioni essenziali della vita dell’essere umano.
Al proposito, la redazione presenta qui un’intervista di Giuseppe Toro ad Agostino De Fenza, candidato al Comune di Termoli, che condivide gli ideali del nostro blog.
Agostino de Fenza è un omone di 60 anni, appena compiuti e quasi 2 metri di altezza, ha il sorriso caloroso e le mani di chi ha lavorato tanto tutta la vita. È sposato con Cinzia Antonetti, medico, e ha tre figli, Andrea, Sara e Chiara. È anche, da poco, nonno di 2 nipotine, Rita ed Elisa.
“Ho da sempre lavorato nel mondo delle cooperative, partendo da un’esperienza di acquacoltura, come segmento della pesca produttiva”. L’allevamento e la commercializzazione delle cozze, traduco io. L’amore per la città, la vita del porto e della gente che lavora, gli spazi e le prospettive dei giovani sono il cuore delle sue preoccupazioni. Un vero termolese, in poche parole.
Perché si è candidato al Comune di Termoli?
“Da sempre sento questa vicenda della politica come un compito, in quanto cittadino termolese e in quanto cristiano. Mi ha colpito ciò che ha detto Mons. Parolin qualche settimana fa a proposito di un impegno in prima persona nelle vicende della città e del mondo. Altri magari lo fanno in altro modo. Per me vuol dire provare a fare qualcosa per la mia città.”
Per candidarsi bisogna che la politica piaccia. Che cosa Le piace della politica?
“Sono un uomo del fare. Mi è sempre piaciuta un’espressione di don Milani che diceva: a che cosa servono le mani pulite, se poi le teniamo in tasca? La politica è soprattutto lavoro, possibilità di fare e far fare. Poi c’è anche la parte di rappresentanza: discutere, stringere mani e tagliare nastri. Ma non è la mia preferita. La rappresentanza deve servire il lavoro, non viceversa”
È già stato eletto nel passato?
“Tre volte, e due volte ho fatto l’assessore, ai lavori pubblici e all’urbanistica. Nasco come geometra e quindi questi sono i miei campi”. Ma ciò non toglie il fatto che mi potrei occupare di sociale o di attività produttive, campi in cui opero tutti i giorni.
Ha fatto qualcosa che ritiene importante in questi incarichi?
“La cosa che mi caratterizza è l’idea di sussidiarietà. Più che ricordare tutte le opere fatte con le amministrazioni del tempo (Campo di calcio con annesso spogliatoio a Porticone; Rotonda nei pressi della cabina Enel su viale S. Francesco, Parco verde a Collemacchiuzzo ecc.), mi interessa il modo con cui le ho fatte: per esempio, dopo la realizzazione del campo sportivo a Porticone, lottai perché fosse dato in gestione a un’associazione di quartiere, naturalmente con i controlli del Comune. La politica deve aiutare i cittadini, non sostituirli o vessarli”.
Il programma per queste elezioni?
“Giovani, lavoro, cultura. Sono le tre questioni fondamentali, ma non rendono subito in termini di consenso perché hanno tempi lunghi. Per questo sono sempre sottovalutati.”
Cosa intende per cultura?
“Innanzitutto una cultura del bene comune. Bisogna capire che per risolvere le situazioni, a cominciare da quelle di degrado urbano, bisogna mettere insieme pubblico e privato. La riqualificazione di Pozzo Dolce o dell’ex-cinema Adriatico passano per questa scelta. E così deve esser anche per la proposta culturale della città: occorre valorizzare chi c’è sempre a Termoli e si muove tutto l’anno.”
E i giovani?
“Sono impegnato come volontario in un’associazione che aiuta i giovani nella ricerca del lavoro. Bisogna favorire luoghi e momenti di condivisione e aiuto delle idee. Mi piacciono i work-café che sono nati in tante città. Alle volte i giovani si scoraggiano perché non c’è più una rete sociale. È questa che occorre ricostruire, con i mezzi di adesso è più facile.”
A proposito di giovani, suo figlio Andrea è un giocatore di basket. Nessun programma per lo sport?
“Il basket come gli altri sport soffrono di mancanza di spazi adeguati. Bisogna usare il PNRR o altre fonti di finanziamento per fare un nuovo Palazzetto dello Sport per tutte le realtà sportive che hanno bisogno di potersi esprimere. È di nuovo un problema di sussidiarietà e di amore ai giovani, che sono il futuro di questa città”.
Agostino sorride, ha molti incontri in serata. “La gente va innanzitutto ascoltata”, mi dice mentre esce.
di Giuseppe Toro
La Spigola