The importance of being “sugar” FREE

In Italia il Ministro della Salute sta prendendo in seria considerazione l’introduzione di una tassa sul “junk food”, detto anche “cibo spazzatura”, promuovendo una politica mirata, attraverso una tassazione sul cibo grasso/zuccherato, ad incentivare una vita salutare. In Europa, già Francia, Ungheria e Danimarca hanno optato per questa soluzione. E ciò fa pensare che forse una spinta in questo senso sia partita dall’Unione Europea, e che sia anche molto di moda. Il problema esiste, non lo nego, e ha origine nell’esponenziale aumento dei casi di obesità (anche) in Italia. Non nego, però, che mi siano sorte un po’ di domande. Se da una parte è vero che l’Italia, a differenza degli USA per esempio, è proprio uno di quei Paesi in cui “tutti paghiamo per la salute di tutti”, per i magri e per i cicci; è altrettanto vero che, a differenza degli USA, l’Italia è forse l’unico Stato in cui un bambino a 12 anni sa cucinare un piatto di pasta, e in cui il mercato del cibo di qualità è in permanente ascesa (Mac bun, slow food, Eataly…). Ora, se da una parte c’è una vera esigenza – l’aumento della obesità ed il costo che esso comporta per gli ospedali – a cui si deve rispondere (come i miei amici medici confermano), dall’altra però è lo strumento scelto che non mi convince: l’imposizione di una tassa sul cibo grasso. Non è un intervento un po’ troppo incisivo? E soprattutto non si maschera con una benevola intenzione di curare la salute degli italiani una esigenza meramente economica? Non so. Forse la cosa che più mi stona è che in questo modo si fa decidere al Governo ciò che è meglio per me… Ecco, se una tale politica si dirigesse, oltre che sul cibo e sul fumo, anche su altri settori della mia persona, gli effetti sarebbero ben più soffocanti. Ragionando in astratto se, anziché il cibo grasso o zuccherato o le bibite gasate, si iniziassero a tassare la persone che hanno superato 75 anni di età (perché anch’esse sono un costo per la società), o le famiglie con bambini malformati geneticamente, o con più di un figlio, ecc., allora sarebbe non solo preoccupante ma pericolosissimo. Una soluzione ci sarebbe: l’educazione. Non è tassando il cibo che si risolve il problema degli obesi. Così facendo, quello che lo Stato ci guadagna non è una maggior consapevolezza nel consumo del cibo, ma qualche soldo in più. Quello che serve veramente è qualcuno che mi educhi. Anche a saper mangiare. A me hanno educato i miei genitori. E forse è qui che si apre il problema veramente. Con una buona dose di realismo (“quel che non ammazza, ingrassa!”) e con pazienza anche verso qualche sbaglio. Ma, ovviamente, educare è scomodo, ci vuol tempo, energia, e soprattutto c’è bisogno di uno che mi vuole bene. Cioè vuole il mio bene. Meglio imporre una bella tassa salutare ai cittadini piuttosto che spendere tempo ed energia ad educarli e a correre anche il rischio di lasciar liberi di essere “fuori forma”.

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