UK fuori da… cosa?

Siamo andati a dormire con le parole di Cameron che ringraziava i “suoi” votanti, al mattino immagino la viva delusione del premier nel leggere il tweet sull’Indipendence Day inglese di Farage.
Stiamo parlando dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, argomento che ci ha bombardato in ogni luogo ivi compreso il gruppo di whatsapp per condividere le ricette dei semifreddi: tutti hanno qualcosa da dire.
Non importa il fatto di non aver mai seguito gli ultimi minuti del telegiornale per segnarsi gli indici di borsa (io passo l’aspirapolvere in quel momento), di non avere idea dei paragoni arditi in cui ci si lancia (no, gli Stati Uniti sono una federazione, è diverso) o di invocare uguale presa di posizione popolare sul suolo italico (no, non lo possiamo fare un referendum su questo, è scritto nella Costituzione, no non l’ha scritta Renzi, neanche Silvio… lasciamo perdere, come fai tu la mousse?).
Tuttavia la questione è percepita come molto personale e interessa tutti.
Perché?
Perché un po’ europei oramai ci sentiamo e non dipende solo dal poter lasciare il passaporto a casa per farsi il weekend fuori.
Percepiamo un sentire comune che nasce da… non lo sappiamo più in realtà.
L’Europa è stata così tanto svuotata di qualsivoglia valore, che non fosse quello economico, che non sappiamo più perché dovremmo restare nella UE.
O perché è così necessario andarsene anche sotto la minaccia di una recessione del mercato interno.
Negli anni la linea di condotta istituzionale ha chiarito che nessuna radice comune – men che meno cristiana – se non gli interessi economici (carbone e acciaio) erano alla base della nascita dell’Europa.
Eppure di tutt’altro avviso furono i padri fondatori: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto” (R. Schuman, Ministro degli Esteri francese, 09.05.1950, Intervento per l’istituzione di una comunità europea del carbone e dell’acciaio).
Si cercava la pace dopo le due guerre mondiali, si cercava di costruire qualcosa insieme e per farlo si usarono anche risorse economiche ovviamente.
Cosa è rimasto oggi di quel tentativo? Cosa stiamo costruendo? Da cosa ripartiamo ogni volta?
Rispondere a queste domande credo sia uno spunto interessante per tutti e fondamentale per chi guida governi ed istituzioni europee.
Altrimenti Leave or Remain – e successive declinazioni in altre lingue – resteranno ancora una volta due bandiere da sventolare che, tuttavia, non dicono davvero nulla.

Ostrica