
Molto è stato scritto su Benedetto XVI dopo la sua morte, molto dovrà ancora essere scritto e tradotto sull’enorme lascito filosofico, teologico e umano del nostro amato “gigante bambino”, che invochiamo come “dottoredellachiesasubito”.
Mi viene da pensare agli ultimi istanti della vita terrena, cosa potrà affollare la mente, i ricordi che sfrecciano, una riconciliazione intentata, una preghiera ultima. I romanzi e i film sono pieni di ultime frasi celebri, quelli che restano impressi, il compendio dell’intera opera, con una domanda che apre alla riflessione personale.
Sono le ultime pensate o proferite in questa vita, sono decisive, dopo non si potrà più pregare o chiedere perdono per se stessi, in un secondo già “l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa”.
Può trattarsi di un minuto (in una Missione un ribelle ti punta un’arma alla tempia), di un secondo (l’auto che vola nel burrone), un centesimo di secondo (capisci che la frenata non basterà), ma anche di un’ora (un infarto proprio a me), o di un mese (con la recidiva la terapia non sta funzionando), un anno o dieci anni comunque per prepararsi. Alla fine ce ne andremo con un’ULTIMA PAROLA, magari comincio a pensarci e me la tengo pronta.
Quando si fa un giro fra le lapidi di persone illustri o anche persone modeste con eredi creativi, troviamo le frasi più improbabili, alcune prese dal vangelo (magari mai aperto in vita), alcune che inneggiano all’amore che non finisce. Cazzate! La partita qui è finita, e “per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso”, ricorda dal Paradiso il mendicante Lazzaro al ricco gaudente che lo ignorava nel suo portone.
Cosa dire, cosa chiedere allora, come ultima volontà prima dell’esecuzione a cui siamo destinati con la nascita? “Una telefonata allunga la vita”, chiedeva Massimo Lopez nella pubblicità degli anni 90?
“Picciotti cosa vi ho fatto?”, il giudice Livatino, ferito e rincorso nella campagna per essere finito dai sicari, non se l’era preparato, ma vivo nel suo cuore, antico e radicale come il tragico “popolo mio cosa ti ho fatto”. Vale un perdono, vale per confermare alla Chiesa la richiesta di Dio di dichiararlo Santo, esempio per noi e certificato dai miracoli che ora è veramente al Suo cospetto.
Ma Ratzinger allora? Non è il papa che parla, ma l’uomo, nudo e tremante come ogni santo nell’ultimo passo per entrare nel Mistero. “SIGNORE, TI AMO!”, ecco cosa ha detto.
Non c’è più tempo per le scuse, tantomeno per i meriti o i rammarichi, una cosa sola bisogna ultimamente confermare: dunque, hai avuto 80-90 anni per pensarci, MA TU MI AMI? Nell’amore vale sempre “Nun me ‘mporta d’o passato, Nun me ‘mporta ‘e chi t’avuto, Resta cu’ mme, Cu’ mme”.
Come per il sì di Pietro, “Certo Signore, tu lo sai che io ti amo”, la nuova moralità dei non perfetti, anche per chi potrebbe elencare galassie di meriti in pensieri, parole e opere, come il nostro amato Benedetto XVI, alla fine si tratta di una semplice risposta conclusiva ad una domanda altrettanto semplice.
Questo è l’atteggiamento vero, magari “mo me lo segno”, come rispose Troisi in “Non ci resta che piangere” al tormentone medievale “ricordati che devi morire”.
Il Pesce fuor d’acqua