Una brutta faccenda. Romanzo di Marco Vichi

Un romanzo tormentato, ombroso come il commissario Bordelli, protagonista dell’indagine. L’ambiente è la Firenze degli anni ’60, ma più che l’Italia del miracolo economico nel testo si percepisce un mondo inebetito e pieno di odio che sanguina ancora dalle profonde ferite della guerra mondiale. Il filo conduttore dell’indagine sull’uccisione di alcune bimbe può essere ricondotto al binomio tedesco/nazista che mano mano si dipana con la narrazione. I tragici e disumani ricordi del conflitto sono riportati dall’autore come gli erano stati trasmessi dal padre Franco, combattente contro i nazisti. Le poche considerazioni del commissario nel dialogo con gli amici (Dante e Casimiro), disadattati ai margini della società, sono intrise di profondo nichilismo, venato da sprazzi di speranza. Un consolatorio e timido tentativo di darsi dignità e significato. “Siamo esseri insignificanti; pulci dell’universo. Eppure ognuno di noi si sente come se fosse lui a far girare il mondo. Microbi appassionati della propria grandezza. L’uomo è grande, perché nonostante la propria nullità può ostinarsi a vivere, a credere in qualche cosa.”

Pesce Palla