Una questione di accoglienza?

Nei piccoli paesini i parrucchieri hanno una singolare e strabiliante funzione di comunicazione, una sorta di “ansa-comunale” che diffonde voci non accertate, ma quasi certe! L’altro giorno la mia giovane lavoratrice, di fronte al mio cuoio capelluto, si agitava e si dimenava di fronte ai suoi clienti : “Dicono che 40 profughi verranno a Baselice per essere ospitati… ma come? Già  ci sono ladri e malattie e ora ce li andiamo pure a cercare chi ruba, chi spende denaro pubblico e porta malarie in giro? Io ho pure un bambino, oddio… e cosa faranno qui?”. Insomma in una situazione piccola ho rivisto quello che sta succedendo in Europa negli ultimi giorni: chi alza muri (Ungheria e Danimarca in primis), chi è incerto e promette (Italia, Francia, Inghilterra) e chi non perde tempo a far fronte all’emergenza (Germania). Ma cosa dice a me questa situazione? Due cose mi vengono in mente:

  • un mio amico, dalle pagine del Foglio, un po’ di tempo fa diceva : “quando uno è certo di qualcosa ama le differenze, quando uno non è sicuro le odia.” E infatti un po’ di tempo fa la caritas romana, in un’altra situazione, diceva: “Una città che non accoglie i migranti – famiglie e ragazzi in fuga da guerre, persecuzioni e povertà – è un popolo senza memoria, un agglomerato umano che non può dirsi comunità!”. Dunque questa paura dei profughi e della loro accoglienza pone innanzitutto un problema di identità: chi sono io? Cosa cercò? A chi appartengo? Di cosa sono certo?
  • per un cristiano l’esistenza stessa dell’altro, chiunque esso sia, è vitale, perché l’altra persona è l’unica possibilità che c’è per riconoscere Cristo. L’unica possibilità, proprio perché l’avvenimento cristiano è qualcosa che succede di fronte ai miei occhi, e non nei miei pensieri né nella tua testa.
    Me lo testimoniano in questi giorni i miei amici in università che accolgono le nuove matricole: l’ “altro” è sempre un’occasione di bene per sé, in mezzo a tutte le difficoltà che pure ci sono, ma non è mai una sfiga.

Occhione